Negli ultimi 50 anni le popolazioni selvatiche di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci sono calate in media del 69%. Quelle d’acqua dolce sono diminuite in media dell’83%, il più grande declino di qualsiasi gruppo di specie, mentre le popolazioni di fauna selvatica in America Latina e nella regione dei Caraibi sono calate in media del 94%. Sono alcuni dei dati del Living Planet Report 2022, il rapporto biennale sulla salute del pianeta che il Wwf lancia oggi a livello globale. Con un bacino di dati, che comprende quasi 32mila popolazioni di 5.230 specie di vertebrati, il Living Planet Index, fornito nel rapporto dalla Zoological Society of London, mostra che nelle regioni tropicali, le più ricche di biodiversità al mondo, l’abbondanza delle popolazioni di vertebrati selvatici monitorati sta crollando “a un ritmo particolarmente sconcertante”. Marco Lambertini, direttore generale del Wwf Internazionale, lancia un appello: “Chiediamo ai leader mondiali che si riuniranno a dicembre, alla 15a Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica, di impegnarsi per un accordo in ‘stile Parigi’ in grado di invertire la perdita di biodiversità”. E il presidente del Wwf Italia, Luciano Di Tizio ricorda come l’associazione abbia avanzato proposte “che ci auguriamo che il Parlamento che si insedia oggi e il governo che seguirà mettano al centro dell’agenda”. Entro un anno, aggiunge, servono “una legge sul clima, una per contrastare il consumo del suolo ed un Codice della Natura per razionalizzare tutte le norme a tutela della nostra biodiversità”.

Le mappe globali delle minacce – Combinando le informazioni degli esperti dalle Liste Rosse IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) su anfibi, uccelli e mammiferi – per 23.271 specie – gli autori hanno elaborato mappe per ciascuna minaccia: agricoltura, caccia e bracconaggio, deforestazione, inquinamento, specie invasive e cambiamento climatico. L’agricoltura è la più diffusa per gli anfibi, caccia e bracconaggio lo sono per uccelli e mammiferi. Nel Sud-Est asiatico è più probabile che le specie affrontino minacce a un livello significativo, mentre le regioni polari, la costa orientale dell’Australia e del Sud Africa hanno mostrato le più alte probabilità di impatto del cambiamento climatico, con una maggiore vulnerabilità per gli uccelli. “A meno che non limitiamo il riscaldamento a meno di 2°C, o preferibilmente 1,5°C – spiegano gli autori – è probabile che il cambiamento climatico diventi la causa principale della perdita di biodiversità nei prossimi decenni”. Una sola giornata di caldo estremo nel 2014 ha ucciso più di 45mila pipistrelli in Australia. Il cambiamento climatico è stato anche collegato alla perdita di intere popolazioni di oltre mille specie vegetali e animali. E se le minacce provenienti da agricoltura, caccia e bracconaggio o causate dalla deforestazione sono particolarmente gravi ai tropici, hotspot di inquinamento sono particolarmente importanti in Europa.

Le specie a rischio – Significativi i dati sulle specie che vivono nelle acque dolci: ricoprono meno dell’1% della superficie del pianeta, ma oltre metà della popolazione umana vive entro tre chilometri da queste acque. Significa rischio di inquinamento, captazione dell’acqua o modifica del flusso, sfruttamento eccessivo delle specie e diffusione di quelle invasive. Il Living Planet Index dei pesci migratori d’acqua dolce mostra un calo medio del 76% tra il 1970 e il 2016. Circa metà delle minacce sono rappresentate dalla perdita e modifiche dell’habitat, in particolare causate da barriere alle rotte migratorie di questi pesci, come dighe e bacini idrici artificiali che ne mettono a rischio la sopravvivenza. Solo il 37% dei fiumi più lunghi di mille chilometri, infatti, rimane libero per l’intera lunghezza. Tra le specie analizzate anche squali e razze oceaniche: l’abbondanza globale di 18 su 31 specie è diminuita del 71% negli ultimi 50 anni. Nel 1980, nove delle 31 specie erano minacciate, nel 2020 sono 24. Fra le popolazioni di specie monitorate nel Living Planet Index ci sono anche i delfini rosa di fiume dell’Amazzonia, le cui popolazioni sono crollate del 65% tra il 1994 e il 2016 nella Riserva di sviluppo sostenibile di Mamirauá, nello stato brasiliano di Amazonas, ma anche i gorilla di pianura orientale, il cui numero ha subìto un declino stimato dell’80% nel Parco nazionale di Kahuzi-Biega della Repubblica Democratica del Congo tra il 1994 e il 2019. Anche il numero dei cuccioli di leone marino dell’Australia meridionale e occidentale, è calato di due terzi tra il 1977 e il 2019.

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