Più partite, più emozioni, più competizioni, più trofei da alzare al cielo. Ma anche più infortuni. Ormai la questione è entrata in pianta stabile nel dibattito calcistico. Si gioca troppo. E senza un’adeguata possibilità di recupero fra un match e l’altro. Un concetto che Pep Guardiola ha provato a racchiudere nella frase: “I tifosi possono vivere benissimo con meno calcio“. In verità a chiedere di diluire il numero degli incontri sono stati gli allenatori, che stanno provando a far capire di non avere neanche il tempo materiale per poter travasare la propria idea di gioco nella testa dei giocatori, e gli stessi calciatori, che cominciano a temere che un’eccessiva usura possa accorciare sensibilmente la loro carriera.

Un problema di buon senso che però non sembra aver fatto breccia nell’Uefa, che negli ultimi anni non ha deciso solo di aumentare il numero delle competizioni continentali, ma anche il numero di partecipanti all’edizione 2024 della Champions League. Tutto nel nome di una maggiore inclusione. Che, per puro caso, significa anche maggiori incassi. Una soluzione, però, non sembra più procrastinabile. Anche perché un paio di giorni fa il gruppo assicurativo Howden ha pubblicato il suo “European Football Injury Index”, un lungo report che analizza nel dettaglio le condizioni di salute dei giocatori impegnati nei primi cinque campionati continentali. E le conclusioni sono piuttosto allarmanti.

Solo nell’ultima stagione, infatti, gli infortuni ai calciatori sono aumentati del 20%, passando dai di 3.988 del 2020/2021 ai 4.810 dello scorso anno. È un dato che nasconde due problematiche diverse. La prima è essenzialmente tecnica, visto che gli infortuni costringono gli allenatori a dover fare a meno dei loro giocatori per un periodo più o meno lungo di tempo. La seconda è meramente economica, con i club che possono lamentare perdite per circa 611 milioni di euro (il calcolo è stato effettuato moltiplicando il costo giornaliero di un giocatore per il numero di giorni in cui non è stato a disposizione dell’allenatore).

Il campionato più penalizzato è stato la Premier League, che ha fatto registrare 1231 infortuni (540 in più rispetto al fanalino di coda Ligue 1), con il Chelsea che ha dovuto fronteggiare ben 97 problemi fisici dei suoi giocatori, esattamente 30 in più rispetto al Manchester City, che comunque ha dovuto rinunciare in media a tre giocatori a partita. I club di Serie A, invece, hanno fatto i conti con 835 infortuni, il 7% in più rispetto allo scorso anno. I casi più preoccupanti sono quelli di Napoli e Juventus, che hanno fatto registrare rispettivamente 26 e 27 infortuni in più rispetto ai 12 mesi precedenti.

I calciatori più soggetti a problematiche fisiche sono i centrocampisti, con 149 casi, 13 in più rispetto ai difensori e 52 in più rispetto agli attaccanti. Ma c’è anche un’altra tendenza da non sottovalutare. Tre dei cinque campionati più importanti d’Europa sono stati vinti dalle squadre che hanno fatto registrare il maggior numero di infortuni durante la stagione: Bayern Monaco (97), Real Madrid (114) e Psg (91). Un dato che suggerisce come la profondità della rosa non sia diventata solo una condizione essenziale per poter ambire al titolo, ma che si sia trasformata anche in uno strumento in grado di aumentare la disparità fra i club più opulenti e quelli con meno risorse.

L’European Football Injury Index è però solo l’ultimo documento che vuole porre l’accento sui rischi derivanti da un calendario sovraccaricato. Lo scorso maggio, ad esempio, il sindacato internazionale dei giocatori Fifpro ha compilato il suo Player Workload Monitoring, uno studio redatto dopo aver intervistato 1055 giocatori e 92 “esperti di prestazioni”. E anche qui lo scenario è piuttosto tetro. Tutto ruota intorno al concetto di back-to-back, che il sindacato definisce: “Giocare due partite di almeno 45 minuti con meno di cinque giorni di intervallo fra l’una e l’altra”. Alla fine del 2020 Luka Modric (che all’epoca aveva 35 anni) aveva disputato 24 match back-to-back. Georginio Wijnaldum e Ivan Perisic erano arrivati a 20, mentre Harry Maguire si era fermato a 19. Il 72% dei calciatori intervistati ha affermato che il numero di partite consecutive in back-to-back dovrebbe essere limitato a quattro, mentre il 55% ha dichiarato di essersi infortunato a causa di un calendario troppo fitto.

Il problema, però, è che spesso si finisce per il concentrarsi solo sui problemi fisici tralasciando la componente psicologica. Non a caso il 40% dei giocatori intervistati ha dichiarato i troppi impegni hanno avuto un effetto negativo sulla propria salute mentale. C’è un numero che spiega meglio degli altri il surplus di fatica a cui sono chiamati i calciatori di questa nuova generazione. A 27 anni Raheem Sterling ha giocato almeno 50 partite in sette delle undici stagioni che compongono la sua carriera. Ryan Giggs, invece, ha superato quota 50 match in appena sei delle 24 stagioni in cui ha giocato come professionista. Il futuro del calcio sembra dover passare necessariamente da qui. Ridurre il numero di partite per aumentare lo spettacolo in campo. Il problema ora è spiegarlo alla Uefa.

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