L’articolo 11 della Costituzione è chiaro e perentorio: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Secondo Fiammetta Salmoni, costituzionalista, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università Sapienza di Roma, questo articolo della nostra Legge Fondamentale è difficilmente compatibile con la formazione di un esercito europeo che non sia esclusivamente difensivo. È difficilmente compatibile anche con la nostra partecipazione alle operazioni preventive della Nato fuori dal territorio italiano.

Fiammetta Salmoni, nel suo libro Guerra o pace. Stati Uniti, Cina e l’Europa che non c’è, recentemente pubblicato da Editoriale Scientifica, esamina la “questione della guerra” alla luce della Costituzione italiana e, in questa prospettiva, analizza i problemi relativi alla difesa del nostro Paese e alla partecipazione dell’Italia ai conflitti bellici: problemi che, a causa dell’invasione criminale della Russia di Putin in Ucraina, sono diventati purtroppo di estrema attualità e urgenza. In un momento in cui la Russia di Vladimir Putin minaccia addirittura un conflitto atomico in terra ucraina e una escalation micidiale che potrebbe coinvolgere l’Europa e tutto il mondo, appare assolutamente indispensabile dibattere pubblicamente i problemi della guerra.

In questo senso il libro di Salmoni offre un prezioso contributo di analisi e di approfondimento. A causa del conflitto scatenato da Putin è tornata prepotentemente di attualità la questione della possibile formazione di un esercito europeo che affianchi la Nato a guida americana, che possa difendere i paesi europei nel caso che la criminale aggressione della Russia debordi anche al di fuori dei confini ucraini. È ovvio che l’opinione pubblica italiana dovrebbe cominciare a dibattere in prima persona su queste questioni di importanza vitale (e quest’ultimo aggettivo è da intendersi in senso letterale).

La formazione di un esercito europeo autonomo sembra necessario e positivo di fronte alla criminale aggressività convenzionale e atomica della Russia di Vladimir Putin e alla necessità urgente dell’Europa di avere una politica estera e di difesa comune anche autonoma da quella americana. E tuttavia la cessione di sovranità nazionale a una Unione europea che non è uno stato e che non è neppure una entità eletta e democratica, che non è neppure unita – come si vede chiaramente nel campo dell’energia in questi giorni – e che non ha una strategia comune pone dei problemi di difficilissima soluzione.

Nel campo delicatissimo della difesa, fino a che punto possiamo cedere sovranità? Secondo Salmoni il dettato costituzionale consente solo la guerra difensiva. Scrive Salmoni: ”È assai discutibile che l’articolo 11 della Costituzione consenta la creazione di una difesa europea autonoma finalizzata non già a compiti meramente difensivi ma anche di altra natura, giacché la sua formulazione non lascia adito ad alcun dubbio. L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. La costituzionalista critica in questo senso il trattato sull’Unione europea, Tue, che propone compiti e missioni non puramente difensive: “In questo senso è la stessa costituzione di una difesa europea basata sull’articolo 42 del Tue a essere in discussione, laddove si prevede l’uso di mezzi civili e militari da impiegare”.

In base alla nostra Costituzione – afferma Salmoni – la prevenzione dei conflitti non si può affrontare con azioni armate, o con “operazioni speciali” di tale natura. La questione è ovviamente non di poco conto, anche perché nell’articolo 43 del Tue si prevedono “missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi , comprese le missioni tese al ristabilimento della pace…”. (il corsivo è della Salmoni). Tra l’altro, sottolinea Salmoni, “nel trattato Ue prevale il metodo intergovernativo per cui né il presidente della Repubblica né il Parlamento hanno alcuna voce in capitolo, unico dominus essendo ridiventato il governo. Neppure il parlamento Europeo ha alcun peso su queste questioni, salvo un obbligo di informazione e di consultazione”.

Purtroppo troppo spesso si sorvola su questi problemi che hanno una importanza eccezionale. Che cosa ci può insegnare per esempio la partecipazione italiana all’operazione del tutto fallimentare in Afghanistan? Fallimentare perché non solo – come era ovvio fin dall’inizio – l’Afghanistan, storicamente diviso in etnie e tribù di tipo feudale, non è diventato un paese democratico ed è addirittura ritornato in mano ai fanatici talebani, ma soprattutto perché l’intervento americano e occidentale ha scatenato e diffuso il terrorismo invece di contenerlo e reprimerlo. Pace e guerra riguardano tutta la popolazione e tutti i cittadini.

È indispensabile che l’opinione pubblica sia coinvolta in prima persona nella discussione di queste questioni. Anche per non ripetere, per esempio, gli errori compiuti con la “operazione speciale” che è stata condotta in Libia, dove, seguendo le politiche di altri paesi, Francia e Inghilterra in primo luogo, il governo di Silvio Berlusconi ha contribuito a gettare nel caos più completo l’intera popolazione libica e, per compiacere gli interessi di potenze a noi alleate, ha operato anche contro gli interessi nazionali nel campo dell’energia. Per condurre con successo una politica di pace – o di guerra difensiva, come detta la Costituzione Italiana – occorre il pieno e informato coinvolgimento della popolazione italiana.

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