Un’interrogazione parlamentare, partita dalla lettera di una madre disperata, accende i riflettori su una presunta parentopoli nella gestione di un progetto di accoglienza di trenta migranti in un piccolo paese della provincia palermitana. A scuotere il Comune di Roccamena, nel cuore della Sicilia, è la nuova interrogazione presentata dal deputato della Lega Alessandro Pagano che ha chiesto lumi al ministero dell’Interno su ciò che è accaduto nella cittadina. Il parlamentare aveva già presentato, senza successo, una prima interrogazione già nel 2020, quando Dorotea Pirrone aveva denunciato in Prefettura la gestione della comunità.

Tutto nasce dal curriculum del figlio della donna, Vincenzo Miceli, presentato all’associazione “La Mano di Francesco”, che gestisce il progetto Sprar, per lavorare all’interno della struttura. Vincenzo, mediatore interculturale, non ha mai ricevuto risposta mentre all’interno della comunità hanno iniziato a lavorare molte persone, parenti di componenti dell’amministrazione comunale del paese. “La donna che abita nel paesino del palermitano – ha scritto Alessandro Pagano nell’interrogazione – è vedova ed ha un figlio disoccupato che, in base ai titoli, era uno dei pochi nel paese a poter lavorare nello Sprar in quanto è un mediatore interculturale. La signora esasperata – prosegue il deputato – aveva denunciato che all’interno dello Sprar venivano assunti soltanto parenti degli allora amministratori comunali, assessori e consiglieri”.

Mogli, cugine e sorelle di assessori e consiglieri hanno così firmato un contratto con la comunità mentre il giovane è rimasto alla porta, nonostante l’appello della donna all’allora sindaco del paese Tommaso Ciaccio e al responsabile della cooperativa. La donna scrive così una seconda volta alla Prefettura di Palermo, al sindaco e ai carabinieri della tenenza locale richiedendo i criteri di assunzione all’interno della comunità. La lettera, lungi dal raggiungere lo scopo, era costata invece alla vedova una denuncia per calunnia da parte dell’ex sindaco, poi archiviata. “Ho denunciato la signora perché non ha voluto capire che non doveva rivolgersi a me per chiedere l’assunzione – dice oggi il sindaco – e lei è venuta in ufficio insultandomi, così sono andato dai carabinieri. È la comunità che fa le assunzioni e non il sindaco”.

Con il passare degli anni era calato il silenzio sulla vicenda. Mentre Vincenzo Miceli è ancora senza lavoro, lo scorso mese il nome della presidente della comunità, Monica Torregrossa – moglie dell’ex comandante dei carabinieri di Roccamena (poi trasferito) – finisce nel registro degli indagati per un’inchiesta che ipotizza uno sfruttamento delle donne nigeriane accolte nei centri di accoglienza. Ad essere sfruttate, secondo le indagini, erano proprio le donne nigeriane ospitate nella rete Sprar, tra cui proprio la comunità di Roccamena. Subito dopo l’operazione Torregrossa è finita ai domiciliari, misura poi revocata dal Gip.

L’inchiesta, così, ha portato il deputato Alessandro Pagano a ripresentare la sua interrogazione al ministro degli Interni, in cui si chiede “se sia a conoscenza dei fatti illustrati (l’indagine in corso e l’arresto della presidente ndr) e se possa chiarire, per quanto di competenza, cosa sia accaduto nella gestione dello Sprar in provincia di Palermo, anche con riferimento alla Stazione Locale dei Carabinieri e alla Prefettura di Palermo, in relazione ai fatti denunciati”. Entrambe le interrogazioni, al momento, sono cadute nel vuoto, mentre la donna e il figlio sono ancora senza lavoro.

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