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Elezioni – Da questa solennissima disfatta vanno tratte delle conclusioni. Anche dai giornalisti

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Diamo a Cesare, e quindi a Sergio Mattarella, il merito principale di averci riportato un secolo dopo una fascista, post, ex, para, al governo. La folle decisione di assecondare Renzi nell’operazione di killeraggio del Conte 2, sta alla base di tutto. Quella di non sciogliere anticipatamente le Camere allora, contraddetta dalla precipitosa accettazione dell’otto settembre draghiano, sta al secondo gradino di una scala reale, che prosegue con la scelta del banchiere centrale.

La terza scelta extraparlamentare di un tecnico ha avuto esattamente gli stessi effetti delle altre. Quella di Ciampi, almeno partorita dalla dissoluzione giudiziaria dei partiti di Tangentopoli, prodromo dell’esplosione berlusconiana. Quella di Monti viatico alla affermazione dei 5 stelle. Questa, dei post, ex, para. La politica cacciata dalla porta rientra sempre dalla finestra. Con il di più che, dei tre, Draghi si è dimostrato il meno adatto al ruolo di politico, imbambolato dalla piaggeria di un giornalismo, screditato e privo di lettori, ma considerato, chissà perché come un sano interprete del paese e della società.

E qui arriviamo al secondo elemento del delitto perfetto. Palo o favoreggiatore, il quarto potere ha dato una prova impressionante di incompetenza professionale. In teoria il lettore di uno di quelli che furono i giornali della classe dirigente, di centro e di sinistra, si sveglia oggi in un paese a lui completamente sconosciuto, cambiato brutalmente tra ieri mattina e ieri sera. Invece si tratta esattamente dello stesso paese. Quello reale. Che nessuno racconta, di cui ci si occupa solo per fargli o dargli una lezione. Che ad ogni appuntamento appare sorprendente, da esaminare antropologicamente, il paese bambino di cui fanfulla Concita De Gregorio, orfana di ogni riferimento culturale a quella gran scuola da cui proviene. E ci sarà un perché se la Repubblica di Bocca e Pansa, Valli e Ronchey, mio padre e Jacoviello, vendeva sei volte quella di oggi e se l’Espresso di Rinaldi non era finito nelle mani in cui è oggi. Privi di curiosità, immiseriti nel binario morto di convinzioni a scartamento ridotto, ripetitori ripetitivi di formulette mai discusse. Eppure letali.

Ricevuto l’ordine di scuderia di presidiare l’argine del populismo di sinistra, e posso scriverlo visto che lo scrivevo all’epoca, non hanno più dedicato un minuto a quello destro. Anzi, in modo moltiplicato all’ennesima potenza dalla tragica tv di Stato e dai due privati, si sono annaffiate piante sterili di proposte, perché tutto, perfino il Caimano – diceva il mio ex editore – era meglio del mostruoso ribollire pentastellato. Personaggi inventati, come Boschi, Salvini e Meloni, palloni gonfiati come Renzi e Calenda, generali con le medaglie dell’assedio di Alesia, banchieri afasici e sprezzanti il Parlamento, ogni cosa pur di cancellare dall’orizzonte il “Gonde”. Che invece resta lì, seduto sul doppio dei voti dei due seri, mentre Mandrake svanisce lentamente, perfino nella memoria di Calenda. Unico rappresentante di un terzo del paese, lui come ho letto in un tweet di qualche sedicente sinistro, il terrone ripulito. Bene.

Da questa solennissima disfatta, che ci porta però il dono dolce di una grande pulizia tra i ranghi del centrosinistra, effettuata a suon di trombature uninominali, sarà il caso per tutti di trarre anche questa conclusione. L’Italia ha un drammatico deficit di giornalismo credibile. E non è una delle cause minori di come siamo finiti. Anzi

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