La cortina di ferro è scesa di nuovo, i russi che vogliono scappare dalla chiamata alle armi non possono farlo, gli è concesso attraversare solo alcune frontiere, quella con la Finlandia ad esempio, o raggiungere in aereo una manciata di paesi, primo fra tutti la Turchia. Anche per noi occidentali il mondo si è ristretto, nessuno si sogna di andare in Russia e chi volesse visitare la Cina deve essere disposto a rimanere chiuso in una stanza d’albergo per 21 giorni.

E’ finita l’era della globalizzazione felice, quando il battito di ali di una farfalla a Roma creava un uragano in Patagonia. Oggi si vive nella globalizzazione infelice, dove i servizi funzionano a singhiozzo, dove la vita virtuale ha preso il sopravvento su quella reale e le notizie vengono filtrate e riciclate come gli stracci di Prato. Nessuno di noi sa davvero cosa succede in Ucraina, ma siamo egualmente ignoranti sulle manovre monetarie e fiscali della Riserva federale o sulla politica estera americana. Manovre economiche e legislazioni avvengono in sordina. Nel Regno Unito durante la settimana di lutto per la morte della regina Elisabetta il governo ha stampato 150 miliardi di sterline per garantire il tetto sulle bollette. La notizia è passata inosservata, la nazione e il mondo erano troppo presi dalle cerimonie funebri.

In Italia oggi si vota e i risultati saranno come quelli della lotteria o della schedina, non è possibile fare alcuna previsione perché la maggior parte degli italiani non sa proprio cosa votare, molti dicono che non lo faranno neppure. La vittoria dipenderà da quella minoranza che invece alle urne ci andrà. Lo sfilacciamento della politica, il disinteresse per la cosa pubblica, l’indifferenza verso chi ci governa avviene sullo sfondo della ripresa della minaccia nucleare. O forse è l’idea che tutto potrebbe finire in un battito di ali di farfalla il vero problema?

Esistono centinaia di scenari e proiezioni su cosa succederà nel prossimo futuro. Alcuni sono positivi, altri negativi, pochi davvero realisti. Proviamo a formulare l’ennesimo.

Un topo messo all’angolo si rivolta contro il nemico. E’ questo un evento eccezionale dal momento che l’istinto dell’animale è quello di fuggire, ma non può farlo e così agisce contro natura. Chi sostiene che Putin non userà l’arma atomica tattica è convinto che nessun politico commetterebbe questo suicidio, atto politicamente contro natura. La risposta, seguendo questa logica, sarebbe infatti l’annientamento nucleare della Russia da parte degli Stati Uniti. Ma è realista questa previsione?

Immaginiamo che alla distruzione nucleare della città di Kyiv si risponda con il lancio di gran parte dell’arsenale atomico statunitense, questo il protocollo per l’attacco nucleare strategico. L’evento avrebbe ripercussioni drammatiche sull’Europa, la Cina e l’Asia Centrale. Centinaia di milioni di persone morirebbero, l’economia si fermerebbe, l’ambiente sarebbe irrimediabilmente contaminato e così via. Siamo sicuri che Bruxelles sarebbe d’accordo? Che la Nato applaudirebbe?

Più logico è invece pensare che alla distruzione della città di Kyiv segua la distruzione con arma tattica nucleare di, ad esempio, San Pietroburgo. A quel punto l’orrore degli eventi e lo spettro dell’annientamento del pianeta, se la guerra nucleare continuerà, costringerà le parti a sedersi ad un tavolo e negoziare il cessate il fuoco e la pace. Nessun politico, neppure Putin, potrebbe sopravvivere a tragedie di queste dimensioni e continuare la guerra nucleare. Secondo questo scenario è possibile che Putin consideri l’arma nucleare tattica l’ultima spiaggia per negoziare il cessate il fuoco a suo vantaggio. La distruzione della città di Kyiv, anche se vendicata con quella di San Pietroburgo, renderebbe inutile continuare a sostenere l’indipendenza dell’Ucraina, ma soprattutto significherebbe passare dalla guerra convenzionale a quella atomica. L’atomica diventerebbe il ground zero della storia. Zelensky, nel caso sopravvivesse, non potrebbe più rinvigorire gli animi con la retorica della guerra di liberazione: la guerra diventerebbe una parola impronunciabile.

Il trauma psicologico della distruzione della città di Kyiv sull’opinione pubblica europea e americana sarebbe di dimensioni enormi, incalcolabili, e la paura di condividere un simile destino spingerebbe tutti a chiedere un accordo, a qualsiasi condizione. Fantapolitica? E perché no, in fondo ci conviviamo da anni.

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