In questo passaggio, alla vigilia delle elezioni politiche, tutta l’attenzione è concentrata sulla tenuta dei conti pubblici, sul Pnrr, sull’inflazione galoppante, sul prezzo del gas e la guerra in Ucraina. Ma se il centrodestra dovesse vincere le elezioni e Giorgia Meloni diventare premier, c’è una casella su cui il futuro governo si giocherà molto: quella del ministro della cultura. Sarà in quel dicastero che la destra avrà finalmente l’occasione di dimostrare il suo valore su un terreno che da sempre, tranne rari intermezzi, è sempre stato sotto l’egemonia della sinistra. Forse non è il primo tema nell’agenda Meloni, ma di sicuro non è l’ultimo. E qualche nome in quegli ambienti inizia a girare. Molti, per esempio, assicurano che, se il prossimo ministro della cultura sarà un politico, allora potrebbe essere Federico Mollicone, deputato, da anni responsabile cultura di Fratelli d’Italia. “Se Giorgia pesca un politico, allora sarà Mollicone”, giurano da Via della Scrofa.

Ma potrebbe essere anche un tecnico. O un intellettuale d’area. Gli autocandidati, per ora, sono due. Il primo è Vittorio Sgarbi, già vice ministro con Giuliano Urbani, che sottolinea di “essere entrato in Parlamento solo per fare il ministro della Cultura”. L’altro è Giordano Bruno Guerri, lo storico che dal 2008 ha avuto il merito, come presidente della fondazione, di risollevare le sorti del Vittoriale di Gabriele D’Annunzio, che da semplice museo è diventato un vivo e importante polo culturale. “Se me lo chiedessero, ci proverei”, ha detto in una recente intervista alla Verità. “Non credo ci sia nessuno meglio di me che possa difendere e valorizzare il patrimonio artistico italiano. Poi posso farlo anche in un ruolo non di primo piano, si potrebbe spacchettare il ministero, non è che voglia per forza fare il ministro, l’importante è occuparmi dei beni culturali”, sostiene Sgarbi, impegnato nell’ultimo miglio della campagna elettorale. “La politica deve tornare ad avere un pensiero. Meloni farà un governo tecnico ma sostenuto dalla politica, al contrario di Draghi che ha fatto un esecutivo politico coi tecnici. Sulla cultura la destra è stata sterilizzata, ma ora può tornare centrale: dovrà essere un ministero della coscienza ritrovata. Ne ho parlato con lei e con Salvini, vedremo…”, afferma il noto critico d’arte. Che nella politica ha sempre avuto un piede, sia in Parlamento che come sindaco. Sarà lui il prossimo ministro? Chissà.

Intanto altri nomi girano. Marcello Pera, per esempio, non disdegnerebbe. Qualcuno pensa all’assessore lombardo Stefano Galli o allo storico Franco Cardini, iscritto al Movimento sociale negli anni ’60, che ha pubblicamente elogiato Meloni. Umberto Croppi quel ruolo l’ha svolto bene nella giunta romana di Gianni Alemanno. “Ma io non faccio più parte di quel mondo, mi considero bipartisan. Posso solo dire che nell’universo della destra romana la cultura ha sempre svolto un ruolo fondamentale, per questo credo che Meloni, se le toccherà Palazzo Chigi, sarà assai sensibile al tema. Molti da quelle parti vogliono dimostrare una volta per tutte che il gap con la sinistra è del tutto immotivato”, osserva Croppi. Che comunque si tira indietro. Buttando lì però qualche nome. Giampaolo Rossi, per esempio. Che però potrebbe avere un ruolo importante dentro la Rai: ex membro del Cda di Viale Mazzini, è l’uomo di Meloni dentro la tv pubblica e difficilmente la leader di Fdi ci rinuncerà. Tanto che si dice possa prendere il posto di Carlo Fuortes come amministratore delegato.

“Di sicuro ci vorrà una figura di rottura, estranea a quel mondo autoreferenziale degli istituti culturali, degli scrittori, dei premi e dei circoletti di sinistra. La cultura di destra ha tutto il peso per recuperare un ruolo politico centrale. Anche perché la presunta egemonia della sinistra è stata più burocratica che reale: basta vedere quanti intellettuali, scrittori e uomini d’arte non incasellabili a sinistra abbiamo avuto”, ragiona il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco. “Se me lo chiedessero… Ma tanto non c’è pericolo, non me lo chiederanno mai…”, sussurra. E anche lui butta lì nomi: Alberto Samonà, attuale assessore alla cultura alla Regione Sicilia; Maurizio Serra, scrittore e diplomatico, primo italiano eletto all’interno dell’Accademia Francese, importante istituzione culturale parigina; Andrea Mascetti di Fondazione Cariplo, animatore di Terra Insubre. “Anche alcuni politici in passato se la sono cavata bene, perché hanno interpretato il ruolo più dal punto di vista culturale che strettamente politico: penso a Francesco Rutelli, ma anche a Dario Franceschini”, aggiunge Buttafuoco. Secondo cui in questo campo “ogni euro investito ne riporta a casa tre”. Assai lontano dal “con la cultura non si mangia” di tremontiana memoria. Molti, tra gli addetti ai lavori, vedono però come fumo negli occhi l’impegno diretto di un intellettuale puro: in Parlamento e nei ministeri hanno sempre fallito, Dio ce ne scampi, meglio un politico. L’ultimo è stato Massimo Bray nel governo di Enrico Letta nel 2013, senza lasciare grandi tracce.

“Come ministro vedo più un organizzatore, una figura manageriale. Non so se Meloni avrà davvero voglia di affrontare questa sfida mettendo in quella casella una figura identitaria della destra: il rischio è invece che ci finisca una personalità più sottotraccia, uno di quelli che potrebbe andar bene anche nel campo avverso…”, ragiona Marcello Veneziani, da sempre uno degli intellettuali di riferimento della destra italiana. Anche lui tra i “papabili”, eccome. “Non sono interessato, penso di aver già dato con gli incarichi pubblici (è stato membro del Cda Rai, ndr)”, si schermisce. “Ma d’altronde ci sarà, tra i dirigenti culturali e direttori di musei, qualcuno un po’ meno a sinistra da portare al Mibact”, sorride Veneziani. “E’ una bella scommessa che, se fossi in Giorgia Meloni, mi giocherei…”.

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