Ventiquattromila pagine e contenuti multimediali desecretati, prima coperti da segreto. Quasi tremila documenti analizzati, per più di un milione di pagine. E ancora, 1.529 liste elettorali esaminate (44.161 candidati a consiglieri, 537 candidati a governatore o sindaco, ndr) in occasione di elezioni amministrative. Fin dal 2018, sono questi i numeri relativi al lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie sulle altre associazioni criminali, resi noti nel corso della presentazione della relazione finale da parte del presidente Nicola Morra. “Volontà della Commissione è stata rendere trasparente ciò che in precedenza non lo era: ancora oggi su tante verità relative a fatti anche lontanissimi nel tempo grava il segreto di Stato. Per quanto possibile questa Commissione lo ha tolto”, ha rivendicato lo stesso presidente.

“La relazione finale è stata approvata all’unanimità dalla commissione. Sono stati attivati 24 comitati, che hanno lavorato in piena autonomia. Sono state effettuate 193 sedute plenarie, 88 sedute dell’ufficio di presidenza, 143 gli auditi, sette esami testimoniali, 23 sopralluoghi effettuati in 9 regioni e 24 province, due missioni all’estero”. Un lavoro che, spiega Morra, è stato però frenato prima dalla pandemia, poi dalla fine prematura della legislatura. “Abbiamo constatato come le mafie stiano traendo vantaggio da questa anoressia creditizia e come questo porti a un ulteriore radicamento delle mafie nel tessuto economico, producendo fenomeni di distorsione che attentano alla vita democratica del Paese”, ha continuato Morra. Mentre riguardo ai “fenomeni estorsivi, recenti operazioni hanno disvelato come interi territori siano soggiogati dal controllo asfissiante di strutture criminali di potere. La potenza delle mafie è garantita dalla debolezza dello Stato”.

In merito all’analisi delle liste elettorali, Morra ha invece attaccato: “Il codice di autoregolamentazione era stato da noi modificato, rendendolo più stringente. Tutti i partiti hanno votato a favore, ma non è mai stato trovato un momento in Aula per la sua ratifica. Siamo stati costretti a esaminare i candidati con il codice Bindi, più morbido, evidentemente questa era la volontà delle forze politiche”. E ancora: “Il nostro lavoro è stato mortificato dallo scioglimento anticipato delle Camere, che non ha reso possibile completare tutte le attività programmate in via istruttoria”, ha poi aggiunto Morra, commentando la mancata approvazione della parte di relazione finale dedicata al cosiddetto ‘sistema Montante‘. “In ogni caso abbiamo raccolto una enorme mole di documentazione che svela un intreccio di relazioni non chiare, poco trasparenti, forse tossiche ed orientate al crimine. Si disvela un mondo di relazioni che alla legge dello Stato e, quindi, al dettato costituzionale, antepongono l’amicizia, la relazione, il favore”.

Tra i lavori rimasti ‘incompiuti’, prima della fine della legislatura, ha spiegato Morra, c’era anche l’indagine “sugli appunti, sui quaderni e sulle attività ulteriormente indagate da Giovanni Falcone”: “Sono 39 i punti dei diari dello stesso Falcone, non semplicemente 14 come al contrario qualcuno ha creduto. Per cui noi abbiamo l’obbligo morale, ma anche storico e politico, di individuare gli altri 25 al fine di capire quali fossero i temi sui quali Falcone, ma probabilmente anche Paolo Borsellino, stavano lavorando”.
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