Spoiler alert: il livello della discussione è talmente basso che ci si ritrova a discutere del colore della pelle (o dovrei dire “delle squame”?) della sirenetta, un personaggio inventato. D’altra parte si è appena concluso il round su Peppa Pig, quindi questo mi sembra un degno sequel per il Paese in cui nessuno sa come spiegare le cose ai bambini. Nelle ultime ore si legge di tutto sull’attrice Halle Bailey e la sua interpretazione di Ariel, a seguito del lancio del teaser di Little Mermaid durante la Disney D23 Expo. La polemica era già nata subito dopo il casting, quando era stata comunicata la scelta di un’attrice non bianca nel ruolo della sirenetta.

Quarantott’ore di commenti di questo tenore su Youtube: “white lives matter“, “si vede che l’oceano è inquinato” e altri ancora, conditi da migliaia di click sul pulsante “non mi piace”.

Prendiamoci un attimo… cos’è che “non ci piace”? Che una fiaba scritta da un autore danese – Andersen – contenga un personaggio nero? È un testo del 1837 ambientato sul fondo del mare… avete presente? Si tratta di un luogo in cui solitamente non vivono né persone di diverse etnie che prendono lo spritz alle 19, né granchi parlanti. Qualsiasi trasposizione cinematografica o artistica della fiaba, pertanto, non corrisponde a un documentario storico-geografico che bisogna riprendere fedelmente, bensì alla reinterpretazione di una storia già di per sé irrealistica. Al di là dei commenti razzisti c’è bisogno che questo sia chiaro a chi si chiede come mai non sia stato rispettato il personaggio originale: è una scelta creativa.

Alcuni si spingono oltre, affermando che bisognerebbe rifarsi alle intenzioni originali dell’autore: lui era bianco, di certo anche Ariel sarebbe stata una donna danese bianca. Se proprio ci tenete alla questione biologica – fa già ridere così perché, voglio dire, parliamo del dna di una creatura metà pesce e metà persona con un trilione di capelli rossi, ma ok – è difficile che Ariel potesse essere chiara e luccicante dal momento che negli abissi arriva pochissima luce. Ci vivono animali come il pesce mandibola e il calamaro vampiro… non proprio il posto ideale per cantare canzoncine allegre col pesciolino Flounder che verrebbe divorato in mezzo secondo. Eppure non mi sembra che qualcuno abbia mai accusato Handersen di essere anti-scientifico, perché è una fiaba appunto. Fantasia.

In realtà credo che il vero motivo che spinge qualcuno a scrivere “infanzia rovinata dalla scelta di un’Ariel nera” sia quello dell’identificazione. Chi ha sempre conosciuto la sirenetta bianca pensa di non essere in grado di familiarizzare con il nuovo personaggio, incapace di riconoscersi in una principessa con cui prima era cresciuta. A questo punto si aprono due riflessioni importantissime. La prima è provare a capire come mai vedere una persona di diversa etnia ostacoli la nostra capacità di immedesimazione; non sarà forse che continuiamo – in quanto maggioranza eurocentrica e/o occidentale – a pensarci come prototipo? Quando pensiamo a una persona, la pensiamo automaticamente bianca.

La seconda questione riguarda ancor di più l’empatia: prendiamo questo sentimento di distanza dalla nuova Ariel che ci mette in difficoltà, approfondiamo la sensazione di essere “diversi” dai protagonisti. Ecco, è proprio quello che hanno provato intere generazioni di bambine e bambini che per decenni hanno visto solo un continuo susseguirsi di principesse e principi bianchi. Ecco perché la rappresentazione di diverse etnie, corpi e identità è la chiave. Lasciamo spazio a personaggi che finora non l’hanno avuto, facciamo in modo che possano esistere nei mondi di fantasia esattamente come in quello reale. Conigli con due mamme, elfi neri della terra di mezzo, donne indiane in abiti da contessine dell’Ottocento e futuri principi azzurri dai tratti tipicamente cinesi.

Semmai il problema si presenta quando sono attrici e attori bianchi che, pur avendo a disposizione miliardi di storie con protagonisti altrettanto bianchi, interpretano personaggi con origini differenti, togliendo spazio alle minoranze. È successo ad esempio con Ghost in the shell – del 2017 – in cui Scarlett Johansson recita la trasposizione di un manga ambientato in Giappone; o ancora con l’intero cast de La casa degli spiriti, tratto dall’omonimo romanzo di Allende ambientato in Cile e con soli attori bianchi, a eccezione di Banderas. Anche queste sono opere di fantasia ma possono essere buone occasioni per dare spazio a quella “rappresentazione” di cui parlavo.

Infine a chi lamenta che la scelta di Disney sia di marketing e non di reale interesse verso l’inclusione, consiglio di guardare le reazioni live dei veri destinatari di questo prodotto; bambine e ragazzi da ogni parte del mondo che si emozionano nello scoprire che Ariel, stavolta, somiglia proprio a loro. Sarà marketing? Probabile, come quasi tutto ormai lo è anche se non mi sembra giusto ridurre il talento e l’impegno di un’attrice nera al clamore promozionale. Anche fosse solo marketing – dicevo – questo lo sappiamo noi, di certo non quei piccoletti che siederanno al cinema credendo a una strega viola con sei tentacoli.

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