Tra i vari ostacoli che stanno impedendo di trovare un accordo all’introduzione di un price cap sul gas per contenere i prezzi ci sono anche i Paesi esportatori. Ognuno ha i propri interessi e le proprie politiche di mercato: alcuni, tra cui Italia, si oppongono a un tetto al solo gas russo, altri sono contrari all’idea di un cap generalizzato. A ciò si aggiunge il fatto che ci sono esportatori, anche quelli non dell’Unione europea di cui bisogna comunque tenere conto, che hanno interesse a mantenere prezzi alti: non solo hanno aumentato le vendite all’estero, rimpiazzando in buona parte il gas russo, ma il tutto a un prezzo elevatissimo. Dunque, doppio guadagno, a dispetto dei Paesi, in primis l’Italia, che invece rischiano razionamenti e recessione. Senza guardare tanto lontano, dopo lo stop alle forniture russe via Nord Stream 1 il primo fornitore dell’Unione è diventata la Norvegia, Paese Nato, non membro dell’Ue.

Non è un caso se il premier norvegese Jonas Gahr Store, dopo un colloquio telefonico con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, ha fatto sapere che il suo Paese è “scettico” sul tetto al prezzo che “non risolverebbe i problemi di approvvigionamento” dell’Europa. Secondo i dati dell’ufficio statistico norvegese, usciti a metà agosto, nei primi sette mesi dell’anno l’export di gas norvegese ha toccato un valore di 599,3 miliardi di corone, pari 60,1 miliardi di euro: un aumento del 303% rispetto allo stesso periodo del 2021. A luglio le esportazioni di metano hanno raggiunto il record di 13,26 miliardi di dollari (12,8 miliardi di euro), quattro volte superiori rispetto a luglio dello scorso anno, mentre il volume di gas venduto è aumentato solo del 5,7% a 10,2 miliardi di metri cubi. L’ufficio statistico sottolinea che “i prezzi elevati del gas sono la ragione principale del valore eccezionalmente elevato delle esportazioni”. I ricavi delle esportazioni di gas di luglio hanno superato il record precedente di marzo, del 14,3%, ha affermato l’ufficio statistico, aggiungendo che anche il valore delle esportazioni di petrolio norvegese è aumentato del 52,1% rispetto a un anno fa a 48,7 miliardi di corone.

Il Paese scandinavo ha aumentato la produzione di gas naturale di almeno l’8% rispetto all’anno scorso. Ciò significa che quest’anno potrebbe produrre oltre 122 miliardi di metri cubi (bcm). Intervistato di recente dall’agenzia Reuters, il ministro norvegese dell’Energia, Terje Aasland, prevede che i livelli di produzione potranno essere mantenuti per tutto il decennio, grazie all’entrata in funzione di nuovi progetti. “Mi aspetto che si possano mantenere i livelli di produzione attuali fino al 2030. Vediamo che ci sono progetti e piani di sviluppo e di funzionamento che possano aiutare a mantenere alti i volumi di gas in futuro”, ha detto Aasland.

Su questa strada va il nuovo gasdotto tra Polonia e Slovacchia, entrato in funzione ufficialmente a fine agosto, che consentirà alla Slovacchia di importare Gnl scaricato al terminale polacco Swinoujscie e, nel prossimo futuro, anche gas via tubo dalla Norvegia. Nonostante quindi il più grande produttore norvegese di petrolio e gas, Equinor, stia incrementando gli investimenti nelle energie rinnovabili e nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio, aumenterà anche i progetti di esplorazione di idrocarburi per soddisfare la domanda dell’Ue. Facile spiegare quindi come mai la Norvegia sia contraria al price cap.

L’altro Paese che si è detto “molto titubante” sul tetto al prezzo del gas è l’Olanda. Anch’esso esportatore di gas in ambito europeo, grazie all’aumento dei prezzi ha raddoppiato il surplus commerciale ottenendo forti guadagni. Ed è sede del mercato Ttf su cui si formano i prezzi del gas validi come benchmark per tutta Europa. C’è da dire però che l’Olanda, a differenza della Norvegia, il gas lo importa anche, e che negli ultimi anni aveva ridotto moltissimo le esportazioni. “La Norvegia non importa, ma è solo esportatore ​di gas. Da prezzi alti ha quindi solo da guadagnarci. Invece l’Olanda è anche importatore, quindi un prezzo del gas alto potrebbe diventare controproducente. Come il Regno Unito che ha sicuramente dei vantaggi perché esporta in Europa ma è anche importatore. Alla fine bisogna vedere il bilancio tra guadagni sulle esportazioni e spesa delle importazioni”, spiega a ilfattoquotidiano.it Luigi De Paoli, senior professor di Economia dell’energia e dell’ambiente dell’Università Bocconi di Milano e direttore della rivista Economics and Policy of Energy and the Environment (Epee). Inoltre, continua De Paoli, “l’Olanda ha ridotto moltissimo da anni le esportazioni. Certo dopo la guerra in Ucraina sta riprendendo e se il prezzo sale così in ogni caso guadagna”.

Per questo l’Olanda starebbe pensando di proseguire le estrazioni di gas nel maxi giacimento di Groningen, in produzione da mezzo secolo ma che conterrebbe ancora abbastanza gas da sostituire le forniture russe all’Europa per tre anni. Si tratta infatti del più grande giacimento di gas d’Europa e il decimo del mondo. L’Olanda voleva chiudere l’impianto tra il 2025 e il 2028 perché le attività estrattive hanno trasformato l’area in una zona sismica ma con l’attuale situazione potrebbe rivedere la decisione. “Ogni aumento di produzione è utile all’Olanda soprattutto nelle attuali circostanze, per questo potrebbe decidere di ritornare sulla decisione di chiudere il giacimento, ma questo comporta un problema di consenso sociale, visto l’allarme per i problemi di subsidenza e sismici che ha creato”, spiega De Paoli.

Allontanandoci geograficamente, tra i Paesi che più stanno guadagnando a causa della guerra e di questo sconvolgimento del mercato energetico troviamo gli Usa: secondo i dati del rapporto della Commissione europea sui mercati dell’elettricità e del gas relativi al primo trimestre del 2022, gli Usa sono diventati i primi esportatori di gnl (14 miliardi di metri cubi, il 47% del totale). All’Unione europea è stato destinato il 45% delle esportazioni statunitensi. Nel primo trimestre 2022, l’Unione europea è stato il primo importatore di Gnl al mondo.

In questo quadro, la Russia fino all’interruzione dei flussi via Nord Stream 1 ha continuato a incassare dall’Ue decine di miliardi. Stando al Russia Fossil Tracker del think tank Crea, solo dall’export di gas ha guadagnato dall’invasione dell’Ucraina a oggi 46,5 miliardi di cui 36,8 arrivati dai Paesi europei.

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