L’ultima ad aggiungersi al lungo elenco dei settori in allarme per il caro bollette è stata la sanità, compresa quella privata. La richiesta è univoca: un contributo extra da parte dello Stato per scongiurare il taglio dei servizi. La stessa allerta è stata lanciata da Comuni e Province, i cui bilanci sono ancora stressati dalle mancate entrate legate ai lockdown per il Covid. E anche il comparto della montagna, dagli impianti di risalita fino a tutto ciò che ruota attorno a week end sugli sci e settimane bianche, avvisa che il crac è dietro l’angolo per la folle corsa dei prezzi di gas, energia e gasolio che stanno per abbattersi su un altro dei pezzi dell’economia piegato dalla pandemia. Mentre i distretti di vetro e ceramica già stanno facendo i conti con bollette extralarge che hanno costretto a spegnere i forni, perché è ormai più conveniente non produrre, il presidente del Coni Giovanni Malagò chiede “un piano Marshall che garantisca la sopravvivenza” dei centri sportivi, in particolare le piscine che a causa del riscaldamento dovranno certamente fare i conti con un’esplosione dei costi nei prossimi mesi. Ecco la guida completa (finora) dei settori in affanno, in attesa che il governo Draghi vari le misure per scongiurare tagli, cassa integrazione, licenziamenti e chiusure.

La sanità (anche privata) – Il caro bollette rischia di mandare in crisi anche Asl e ospedali, che attraverso la Fiaso chiedono un contributo extra per sterilizzare i maggiori costi sostenuti. Già all’inizio dell’anno Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere aveva stimato un incremento della bolletta energetica pari al 30% chiedendo lo stanziamento di risorse straordinarie pari a 500 milioni di euro. La richiesta era stata soddisfatta per meno della metà dell’importo richiesto (200 milioni di euro). Risorse, sottolinea Fiaso, che con i nuovi rincari si riveleranno “insufficienti”. Per questo il presidente Migliore spiega: “Non si tratta semplicemente di semplici voci di uscita in un bilancio, ma di servizi per il cittadino e per i pazienti: la stagione post-emergenziale richiede la disponibilità di tutte le risorse possibili per recuperare le prestazioni sospese e far fronte agli impegni presi con i cittadini”. Oltre alle maggiori spese per l’energia, Asl e ospedali dovranno far fronte agli importi contrattuali lievitati da parte delle aziende fornitrici di servizi: “In qualche caso, stanno già chiedendo la revisione dei prezzi”, sottolinea Migliore. “Il risparmio energetico, inoltre, per quanto possibile, negli ospedali è marginale – aggiunge Migliore – perché è estremamente difficile ridurre il consumo energetico, considerando il grande numero di macchinari che devono necessariamente essere attivi 24 ore su 24 e 7 giorni su 7″. Su apparecchi di radiodiagnostica, tac e pet e sul necessario funzionamento delle sale operatorie nonché delle delle terapie intensive “non ci possono essere risparmi”. Anche il settore privato inizia ad agitarsi: il Gruppo San Donato stima nel 2022 un “aumento dell’890% del costo del gas di circa e del 260% di quello dell’energia elettrica” e chiede di “inserire le aziende ospedaliere ‘a pieno titolo’ nell’elenco delle imprese energivore e gasivore”.

Gli enti pubblici – Risorse straordinarie vengono richieste anche dall’Anci e dall’Upi. I presidenti Antonio Decaro e Michele De Pascale sono tornati a premere per un intervento urgente che fermi i rincari e lo hanno quantificato in “almeno ulteriori 350 milioni di euro”. L’alternativa? “I sindaci saranno costretti a tagli dolorosi dei servizi pubblici a tutto danno dei cittadini, in vista di un autunno che già si prospetta molto difficile e preoccupante”. Una misura a favore di Comuni e Province viene ritenuta “indispensabile”. Senza, avvisano, i bilanci degli enti locali sono “destinati a saltare”.

Le industrie – Dal settore vetro e piastrelle, passando per siderurgia e cartiere, fino all’industria conserviera. Sono diversi i comparti industriali che rischiano di implodere per la corsa selvaggia dei prezzi dell’energia. Mentre l’Assorimap, l’associazione delle aziende che riciclano materie plastiche, ha già annunciato il fermo del 40% delle attività per i costi ormai insostenibili con il rischio di generare “un cortocircuito del sistema di recupero dei rifiuti plastici” e “un enorme gap di competitività su scala internazionale”. I distretti di vetro e ceramica dell’Emilia Romagna sono in allarme da settimane e molte aziende hanno già spento i forni e fatto scattare la cassa integrazione: “Spenderemo in bollette 150 milioni di euro in più rispetto al 2021, quando furono 40. Dovremmo aumentare i prezzi di circa il 70% per coprire i maggiori costi, ma nessuno lo accetterebbe”, ha spiegato a Ilfattoquotidiano.it l’ad di Bormioli Rocco, Vincenzo Di Giuseppantonio. Il presidente di Confindustria Ceramica, Giovanni Savorani, ha invece chiarito che “è impossibile” pianificare la produzione e aggiornare i listini chiedendo che il credito di imposta al 25% venga raddoppiato. “O il prossimo governo – è la sua previsione – troverà un cimitero di aziende”.

Ristoratori e accoglienza – Sul piede di guerra ci sono, da settimane, i ristoratori e le imprese del turismo, secondo cui i costi energetici più che raddoppiati rischiano “di fermare in autunno la crescita del settore che quest’estate sta registrando numeri da record”. Per gli alberghi, il costo dell’energia è salito di “oltre il 150% rispetto all’anno scorso” e il caro-energia sta avendo un impatto negativo “in particolare sugli immobili adibiti ad attività ricettive dell’alberghiero coinvolgendo quasi 33mila imprese del settore”, ha spiegato Marco Misischia, presidente nazionale di Cna Turismo e Commercio. Anche il settore extra-alberghiero, sottolinea, “è in estrema difficoltà con oltre 145mila immobili adibiti a bed&breakfast e alloggi gestiti in forma imprenditoriale”. Nel complesso si tratta di oltre 170mila immobili per attività ricettive che, in assenza di interventi di calmierazione, “rischiano di perdere competitività, a partire dall’autunno”.

Gli impianti di risalita – Hanno già annunciato rincari degli skipass intorno al 10% per provare a compensare i maggiori costi che deriveranno dal funzionamento delle funivie e dei cannoni sparaneve. Ma il problema, denunciano, è molto più ampio e rischia di mettere “in ginocchio il futuro della montagna”, dice Valeria Ghezzi, presidente dell’Associazione nazionale esercenti funiviari. Un comparto già stremato dagli anni del Covid, fattosi minaccioso sempre nel periodo di maggiore afflusso negli impianti. E oltre all’energia per alimentare gli impianti e i sistemi di innevamento programmato, ha ricordato Ghezzi, i gestori dovranno anche gestire il caro-gasolio utilizzato dai mezzi battipista. “Un costo – prosegue la presidente Anef – che andrebbe a minare le sorti di tutta la filiera che vive dell’industria della neve e comprende hotel, ristoranti, trasporti, scuole di sci. La preoccupazione va soprattutto alle tante piccole imprese che operano nel settore e che rischiano di chiudere”.

Centri sportivi e piscine – A lanciare l’allarme per il settore sportivo è stato direttamente il presidente del Coni Giovanni Malagò invocando “un piano Marshall che garantisca la sopravvivenza”. I settori che rischiano di pagarne maggiormente le conseguenze sono i centri sportivi e quelli polifunzionali. A fornire l’esatta fotografia del rischio energetico nel settore, è stato Giampaolo Duregon, presidente di Anif-Eurowellness in rappresentanza di circa 5.000 centri sportivi italiani di cui 700 iscritti all’associazione di categoria all’interno di Confindustria: “Da settembre si stima che in tutta Italia 500 centri sportivi rischiano di non riaprire, soprattutto piscine o impianti polivalenti con le piscine, perché hanno un peso di riscaldamento sostanziale. O raddoppiamo i prezzi facendo cadere tutto sulle spalle del cittadino oppure serve ricevere un aiuto subito, come avvenuto con fondi una tantum nella primavera scorsa”. Un grande centro sportivo che mediamente spendeva tra elettricità e gas circa 400mila euro all’anno, adesso – secondo Duregon – “può arrivare attorno al milione o milione e 200mila euro”. Cifre definite “insostenibili”.

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