Sull’orlo della disfatta, il Partito democratico trova un attimo di sollievo con la decisione di Caterina Chinnici. Che ha ceduto al pressing e ha deciso di restare candidata alla presidenza della Regione siciliana, nonostante la corsa sia data ormai per persa dopo la rottura del patto col M5s. “Non volterò le spalle agli elettori, quelli che hanno votato alle primarie e anche i tantissimi altri che sono pronti a sostenermi riponendo, di questo sono certa, precise aspettative nella mia storia, dandomi una consegna di responsabilità della quale, nel mio ruolo guida, intendo essere garante”, fa sapere in una nota. “Metto nuovamente a disposizione il mio amore per la Sicilia, il mio impegno – aggiunge – nella consapevolezza che il percorso prospettato è ora più difficile”.

Un suo forfait sarebbe stata una sconfitta pesantissima per i dem, che hanno insistito sulle primarie di coalizioneda cui l’europarlamentare è uscita vincitriceanche quando l’asse giallorosso si era già frantumato a livello nazionale. E che, soprattutto, hanno voluto a tutti i costi inserire il nome di Chinnici nel simbolo elettorale, nonostante la richiesta in senso contrario dei 5 stelle. Andare alle urne con un simbolo (non più modificabile) che richiama una candidata ritirata era l’incubo che nelle scorse ore aveva prendendo forma nelle stanze del partito siciliano. Che, dopo lo strappo di Giuseppe Conte, sta vivendo un’atmosfera da resa dei conti.

Secondo i critici il maggior responsabile del disastro è il segretario regionale Anthony Barbagallo, reo di avere insistito per le primarie ma anche di avere concesso troppo al M5s nelle trattative degli ultimi giorni, cedendo – è la ricostruzione – a tutte le richieste del Movimento. “Da quando si è saputo che Conte era candidato in Sicilia, si doveva intuire la svolta dei grillini. Come poteva fare la campagna assieme al Pd e contro il Pd contemporaneamente? Che avrebbe rotto era fin troppo chiaro”, ragiona in anonimo un esponente dem. Per il segretario, invece, la decisione è arrivata apparentemente come un fulmine a ciel sereno, tanto da spingerlo a parlare di “alto tradimento”.

Di sicuro però la rottura potrebbe costargli molto cara. Martedì sera è stato preso di mira durante la direzione regionale Pd, terminata oltre la mezzanotte: “Hai distrutto una comunità, delegittimato storie politiche, attuato sistemi peggiori di quelli dei partiti di destra. La tua permanenza alla guida del Pd rischia di causare una balcanizzazione costante: hai il dovere di farti da parte per salvare il salvabile e consentire che il Pd vada avanti verso la campagna elettorale”, ha affondato il dirigente locale Antonio Rubino. Parole che gli sono subito costate la revoca dell’incarico di coordinatore della segreteria regionale. Cosicché l’indomani ha deciso di insistere: “La permanenza dell’attuale segretario alla guida del Pd siciliano va assolutamente scongiurata: deve farsi da parte”.

Le radici della tensione nascono dai rancori creati dalle liste siciliane, da cui è stato escluso l’orfiniano Fausto Raciti e sono stati isolati in posizione non eleggibile gli ex renziani, mentre Barbagallo figura capolista alla Camera. Non a caso gli attacchi più duri ieri in direzione sono arrivati da Carmelo Miceli, ex renziano, e dall’orfiniano Rubino, che infatti sottolinea: “Sono state devastate storie politiche, umiliate persone, alimentato un clima da caccia alle streghe degno dei peggiori partiti di destra. È stata usata e devastata una comunità al solo fine di autotutelare se stessi”. In silenzio, per ora, Barbagallo incassa i colpi, confortato dalla decisione di Chinnici. Ma la resa dei conti è appena iniziata.

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