Il già defunto patto repubblicano che avrebbe dovuto fare da custode della Costituzione non era specchiatissimo. Sarebbe lungo menzionare i tentativi di modifica irricevibili. Tra i tanti, quello più dimenticato è il progetto di riforma dell’art. 138 e la nomina delle due commissioni di ‘saggi’ fatta da Napolitano prima e da Letta (su impulso del primo) poi. Organismi non previsti dalla carta, che contribuivano a esautorare il parlamento e confermavano la conventio ad excludendum contro i 5 Stelle. Ma se è così, si dirà, perché si era proposta un’alleanza proprio tra M5S e Pd?

Avevo evocato, su queste pagine, san Paolo e il suo spes contra spem. Occorre scomodarlo nuovamente, menzionando il concetto di katechon, l’idea paolina di un ‘argine’ alla venuta dell’anticristo.

Se vogliamo dare una traduzione in termini di realismo politico a questo concetto teologico, occorre però ricordare che il freno tocca ciò che frena, si contamina con la sostanza che deve frenare. Del resto, il 5S ha avuto questo ruolo, nel bene e nel male (e anche volente o nolente), sin dall’inizio: ha evitato la svolta a destra del paese, contenendola ma in qualche modo assorbendola e facendone una delle anime del Movimento, forte dell’idea (discutibile e non condivisa da chi scrive) che destra e sinistra non esistessero più. È successo poi con la Lega. Ed è successo con il Conte II e con il Pd, e poi con Draghi.

Ora Conte ha portato i 5S verso una nuova identità, abdicando, in qualche misura, all’idea che non esista più una topografia politica assiale-lineare in cui le forze politiche possono essere collocate sui punti di una retta. Se l’alleanza con il Pd, almeno prima delle elezioni – in un sistema parlamentare, e nel nostro in cui il parlamentarismo talvolta è parossistico, tutto può accadere, dopo – è diventata, come ormai pare evidente, impossibile, occorrerà che il M5S continui la campagna elettorale senza contaminazioni, ma senza rifuggirle a prescindere dopo. Un Conte che corresse da solo avrebbe intanto davanti a sé delle praterie su temi fondamentali: welfare, ambiente, crisi climatica, giovani, reddito di cittadinanza, diritti, Sud, scuola e università; combinandoli con la fedeltà alla carta, che poi è l’unico modo di trattare quei temi. Per tornare a parlarsi dopo, invece, servirebbero condizioni miracolose: che il Pd si ricordasse del progressismo.

E invece va in tutt’altra direzione: “attrarre i voti della destra” con Calenda (vaste programme), l’alleanza con Bonino, la candidatura di Cottarelli, e così via. E suggerisce che il cupio dissolvi di Letta non sia casuale. O almeno, non potendo concepire tanta deliberata stoltezza politica, c’è da immaginare una sorta di genio del male all’opera, un grande vecchio, uno Stravecchio De Vecchionis, un disegno recondito, una regia occulta. Qualcuno che abbia detto, pensando alla destra: “vincete pure, e governate voi che a noi ci viene da ridere, viste le macerie sulle quali dovrete sedervi. Governate voi che tanto cadrete subito e arriverà la troika interna, cioè Draghi, la troika introiettata, la troika in interiore homine, ché non c’è bisogno nemmeno di evocare la troika straniera, dal momento che l’abbiamo talmente assimilata che andiamo col pilota automatico. Quando cadrete torneremo noi, l’apparato, e siederemo sulle macerie delle macerie, forse ancora una volta assieme a voi. E la troika interiore parrà ancora più inevitabile e il parlamento ancora più inutile, fallimentare, superfluo, sempre a rappresentare le forze sbagliate, e l’elettore si dimostrerà sempre più nel torto, e il tecnopopulismo sempre più necessario”. Se così sarà, nessuna funzione catecontica sarà più possibile.

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