Sono trascorse solo poche settimane dall’orribile figlicidio compiuto da Martina Patti, che ha provocato la morte della propria figlioletta di cinque anni infliggendole 11 coltellate e seppellendola in una buca che aveva provveduto a scavare la mattina dell’omicidio con fredda e lucida premeditazione. E già ci troviamo di fronte a un altro delitto così difficile da decifrare perché riguarda un’altra madre che ha abbandonato sola a casa per sei giorni la propria bimba di soli 18 mesi lasciandola morire di fame e di sete.

Dopo l’arresto Alessia Pifferi, 37 anni, ha detto ai magistrati di aver lasciato la figlia sola a casa a Milano per recarsi dal proprio compagno a Leffe, in provincia di Bergamo, e di essere consapevole del fatto che la bimba sarebbe potuta morire. Non era la prima volta che la Pifferi abbandonava la figlia, lo aveva già fatto in altre occasioni per andare a trovare altri spasimanti ma, evidentemente, mai per un periodo tanto prolungato. Il particolare ancor più agghiacciante è che quando la Pifferi è rientrata per qualche ora a Milano per accompagnare il fidanzato che aveva un impegno di lavoro non si è minimamente preoccupata di passare da casa per accertarsi delle condizioni della piccola e all’uomo ha raccontato che la bimba si trovava con la sorella che si era offerta di accudirla in un luogo di villeggiatura durante la sua assenza.

In realtà Diana, che aveva solo 18 mesi e non poteva provvedere da sola al proprio sostentamento, è stata lasciata in un lettino da campeggio accanto al quale è stato ritrovato un biberon – ora al vaglio degli inquirenti che in questi giorni stanno cercando di capire se il latte sia stato diluito con le benzodiazepine ritrovate in una boccetta nell’appartamento. Dall’autopsia è emerso che la bimba è morta di stenti dovuti alla mancanza di cibo e acqua, situazione aggravata dal caldo infernale di quei giorni e probabilmente dalla paura e dalla consapevolezza dell’abbandono che un bambino di 18 mesi può naturalmente percepire.

Il fatto che i vicini di casa non abbiano sentito piangere Diana ha portato gli investigatori a supporre che la bimba possa essere stata sedata con i tranquillanti e per stabilirlo saranno dirimenti gli esami tossicologici. Il pm Francesco De Tommasi, che ha confermato la richiesta di custodia cautelare per la trentasettenne, ha scritto che per la madre omicida la figlia era un ostacolo, un peso e un impedimento alle sue relazioni con altri uomini, soprattutto con l’attuale compagno con il quale Alessia Pifferi voleva costruire una relazione stabile, forse anche per motivazioni economiche. Un futuro che non comprendeva Diana, una creatura che lei non aveva mai voluto e che trattava come un oggetto, un fardello, un incidente di percorso che le impediva di vivere la vita che aveva sempre sognato.

Come in altri casi di figlicidio, gli avvocati della difesa puntano sulla richiesta di perizia psichiatrica e sulla dimostrazione di una qualche patologia che giustifichi un gesto ritenuto inaccettabile e inspiegabile dall’opinione pubblica e dal comune sentire, che definisce totalmente innaturale e abominevole la morte di un figlio per mano di una madre, dando per scontato che al momento della nascita si debba creare quel sentimento di amore e attaccamento che caratterizza il senso materno. In realtà, nel caso di Alessia Pifferi, come nel caso di altri purtroppo celebri casi di cronaca del nostro Paese, è assai improbabile possa trattarsi di infermità mentale per le modalità con cui l’omicida si è comportata, ammettendo lucidamente di essere consapevole dell’eventualità che la bambina potesse morire e non mostrando alcun pentimento dal carcere di San Vittore dove si trova reclusa.

La richiesta di poter partecipare ai funerali della figlia, oltre a far parte di una strategia difensiva suggerita dai suoi legali, potrebbe essere l’ennesimo atto di una personalità egoistica e narcisistica che si preoccupa della propria reputazione all’interno della società e della costruzione artefatta dell’immagine di madre addolorata che sta prendendo solo ora coscienza della morte della figlia. L’ennesima dimostrazione che il male esiste e non è necessario scomodare l’incapacità di intendere e volere per trovare una risposta a un comportamento che non ha nulla di folle né tantomeno di bestiale, perché è orribilmente, atrocemente e colpevolmente caratteristica dell’essere umano.

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