di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Credo che le caratteristiche di un presidente del Consiglio, specie se non eletto, siano la pazienza, la capacità di ascolto, di mediazione e di sintesi. Mario Draghi ha una carriera in cui si obbedisce e si comanda. L’assertività è funzionale al raggiungimento di obiettivi che non sono negoziabili. Non vedo dove possa avere imparato l’arte della creazione del consenso o come possa cambiare in vecchiaia. Nel suo bagaglio culturale c’è la visione liberista dell’economia fatta di concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi, il disconoscimento del ruolo dello Stato nella gestione e produzione di qualsiasi bene e servizio, l’abbattimento del welfare e il taglio della spesa pubblica.

Tutte cose che non hanno funzionato e, privo della certezza dell’approccio liberista, è evidente il suo disagio verso misure di stampo keynesiano – come il bonus 110% – che in realtà hanno prodotto grandi benefici sulla ripresa economica e sulle dinamiche del lavoro. Un disagio che non si spinge fino ad affrontare in modo chiaro il problema, ma a uno strisciante cambio continuo di norme per affossare la misura. La conseguenza è in migliaia di cantieri fermi e imprese a rischio fallimento. L’economia è una scienza sociale molto lontana da un mondo di certezze e ogni misura favorisce alcuni ceti sociali e ne penalizza altri: occorre mediare e a questo serve la politica.

Delle caratteristiche enunciate non ne vedo nessuna in Draghi. Si è presentato al Senato forte di un appello popolare artificioso, teleguidato dal Pd e dal suo mondo contiguo e dai salotti buoni. Un grido di dolore a cui non ha risposto presentandosi alle Camere con un programma derivante da un lavoro di cucitura tra le forze politiche a cui chiede il consenso ma con una sua visione autocratica di cosa sia giusto fare per il Paese, o per una frazione di questo.

Provo una sensazione di disagio di fronte a questi appelli, che costituiscono un precedente pericolosissimo. Una mobilitazione delle piazze ricche, non per questo meno populiste, che puzza tanto di regime. Se saranno le destre a farlo ci sarà un pericoloso precedente.

Questa orchestrazione promossa dal Pd, che è lo stesso degli editti bulgari a Carta Bianca e a Innaro, mi mette l’angoscia e me la metterebbe anche se tanto afflato fosse effettivamente spontaneo. Il Pd ha certificato di essere il partito di Draghi e dei quartieri alti. Non si capisce neanche con quale prospettiva: per prolungare una legislatura che presenta dei nodi strutturali irrisolvibili si è messo anche a favorire il frazionamento del M5s, in modo da poterlo offrire, come Giuditta la testa di Oloferne, a quello che sempre più viene dipinto come una divinità più che un uomo della provvidenza.

Il calcolo a me pare sbagliato perché tutti i governisti del M5s possono contare alle elezioni solo sul proprio voto. Senza l’apporto di Giuseppe Conte e di un M5s appena appena credibile consegneremo il Paese alla destra. E che nessuno si lamenti per l’astensione elevatissima che ci sarà: se entro in un ristorante e trovo solo cibi avariati salto il pasto. Credo che lo chef qualche esame di coscienza dovrà farselo invece di dar la colpa ai clienti.

I media, pubblici e privati, sono da regime autoritario. Capannelli di ricchi militanti dei Parioli di IV sono diventati nella narrazione “Grande partecipazione ieri alla manifestazione pro Draghi bis a Roma” da Fanpage o “Centinaia e centinaia di persone per manifestazioni che sono state organizzate in una manciata di ore” e “… a Roma persino un senzatetto che plaudiva Draghi per la sua sensibilità per chi vive ai margini” sul Corriere della Sera. La petizione di Matteo Renzi per Draghi solo dopo giorni di pubblicità a reti e stampa unificate ha raggiunto le 100mila firme quando petizioni su materie più risibili e senza pubblicità hanno raggiunto cifre elevate, come le 80.521 raccolte per la salvaguardia del cervo sardo, o molto più elevate come le 682.088 raccolte per l’abolizione dell’Iva al 22% sui tampax. Vergogna!

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