Il fischio dell’arbitro israeliano Klein è triplice, prolungato, definitivo. La voce di Nando Martellini grida “è finita”, mentre sul terreno di gioco dello Estadio Sarrià di Barcellona l’euforia azzurra è senza freni. È il 5 luglio 1982 e l’Italia ha appena battuto per tre a due il Brasile. In mezzo al rettangolo di gioco Paolo Rossi sta correndo. Ha appena segnato una tripletta e adesso sta cercando Enzo Bearzot. Paolo lo trova. Il loro è un abbraccio intenso e fraterno, come quello tra padre e figlio. Entrambi sanno di aver compiuto una delle imprese più grandi della storia della Nazionale. Forse sanno anche di aver appena vinto il Mondiale. E pensare che Rossi in Spagna non doveva nemmeno esserci. Nessuno lo voleva. Solo Bearzot. Stretto da decine di abbracci, all’improvviso per Paolo sembra così lontano ed estraneo quel 23 marzo 1980. Il giorno in cui il calcio italiano venne travolto da una delle pagine più buie della sua storia. E con il calcio, la sua carriera. Il motivo per cui nessuno lo voleva a quell’appuntamento iridato.

Stagione 1979/80. È appena terminata la 24esima giornata di Serie A quando la magistratura ordina una serie di arresti proprio sui campi di gioco. Le manette scattano per diversi giocatori: Sergio Girardi del Genoa, Massimo Cacciatori, Bruno Giordano, Lionello Manfredonia e Giuseppe Wilson della Lazio, Enrico Albertosi e Giorgio Morini del Milan, Gianfranco Casarsa, Mauro Della Martira e Luciano Zecchini del Perugia. Tra i presidente viene fermato il presidente del Milan Felice Colombo. Altri invece ricevono ordini di comparizione. Tra questi ci sono Giuseppe Dossena, Giuseppe Savoldi, Oscar Damiani e Paolo Rossi. Ma perché tutto questo? Il 1 marzo Massimo Cruciani, commerciante all’ingrosso di ortofrutta, e Alvaro Trinca, proprietario di un ristorante in piazza del Popolo a Roma, avevano presentato un esposto alla magistratura per denunciare una serie di combine tra la massima serie e quella cadetta. Un giro di scommesse da loro ideato. Alcune partite però non erano finite come preventivato e i due finirono per perdere decine di milioni.

Per Paolo Rossi l’incubo comincia ufficialmente il 29 aprile. Diventa un campione di calcio senza calcio. Anzi, di più. Un traditore. La sospensione arriva immediata dalla Disciplinare. Niente più Perugia e, soprattutto, niente più Nazionale. Almeno per tre anni. È questa la condanna, poi diminuita a due. In estate torna a Vicenza, dove aveva rischiato di diventare campione d’Italia nel 1978. “Mi allenai qualche volta ma senza voglia. Provavo disgusto per il calcio. Ho pensato di andar via dall’Italia, di smettere. Le cose peggiori? Il sospetto della gente, quegli sguardi e le notti del sabato, sapendo che al risveglio non c’erano partite ad aspettarmi. Mi ha salvato la consapevolezza di essere innocente. E la Juve“.

Già, la Juve. Qualcuno dalle parti di Torino non lo reputa un ex-giocatore. E questo qualcuno è il presidente dei bianconeri Giampiero Boniperti: “Verrai con noi in ritiro, ti allenerai con gli altri, anzi più degli altri”. È il marzo 1981. Manca più di un anno alla fine della squalifica. Questa arriva il 2 maggio 1982. Trapattoni ha deciso di schierarlo titolare a Udine. E lui torna subito a fare quello che gli riesce meglio. Segna. Per la prima volta dopo due anni torna a sentirsi un calciatore. Eppure non è questo il momento più importante. Sei mesi prima la Nazionale si trova a Torino per preparare la sfida di qualificazione contro la Grecia. Bearzot però è più interessato a quello che accade nel campo adiacente. Lì la Juventus sta giocando contro la primavera e il centravanti è Rossi. Il Vecio lo osserva e nota che la rapidità di pensiero c’è ancora ma manca tutto il resto. Dopo l’allenamento lo avvicina e gli comunica che sarà lui il suo attaccante in Spagna. È disposto ad aspettarlo fino all’ultimo giorno.

La fiducia di Bearzot nei confronti di Rossi è totale. Talmente tanta che per averlo con sé lascia a casa Roberto Pruzzo, capocannoniere del campionato. Le polemiche non si fanno attendere e divampano durante la prima fase del Mondiale. L’inizio dell’Italia infatti è un disastro. Tre pareggi con Polonia, Perù e Camerun e qualificazione ottenuta solo per differenza reti. In più c’è Rossi che non segna. Non gioca male, è proprio un fantasma. Bearzot non fa una piega. Anche dopo la sostituzione con il Perù il suo commento è sempre lo stesso: “Stai tranquillo Paolo, ora preparati per la prossima perché il mio centravanti titolare sarai ancora tu”. La stessa frase che gli ha detto anche alla vigilia di quella partita decisiva contro il Brasile, insieme ad alcuni consigli: “Prendi alle spalle Junior con quell’anticipo capace solo a te”. Rossi esegue, di testa fa uno a zero e da Paolo diventa Pablito. Un’altra storia è appena iniziata.

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