Sgomberiamo il campo da facili ottimismi: la Russia non sta contrattando pezzi di Ucraina in cambio della pace, né intende farlo: eserciterà la forza attraverso la guerra finché penserà di poter vincere. Non per altro: la Russia si percepisce come un impero, ha un passato imperiale e attualmente nella geopolitica si vede continuare a svolgere il ruolo di impero. Per questo motivo, dal momento in cui devono negoziare qualcosa – le condizioni per la fine della guerra in Ucraina così come un “normale” uomo d’affari russo farebbe per l’acquisto di un’azienda italiana o di una villa in Costa Azzurra – Vladimir Putin e i suoi accoliti partono da una prospettiva di potere. Anzi, di сила cioè di forza, non certo di moral suasion. Quindi, se avete in mente la ricerca di quella che gli anglosassoni chiamano una win-win situation, vale a dire un gioco a somma non zero in cui tutti i partecipanti traggono vantaggi, toglietevelo subito dalla testa: per il Cremlino – così come per ogni russo- ogni negoziato prevede un vincitore e uno sconfitto, cioè una parte che si arrende o esce dal gioco. Allo stesso modo, se avete in mente anche una partita negoziale in cui le parti mettono le loro carte sul tavolo, vi sbagliate di grosso: dalle parti di Mosca i negoziatori non fanno trasparire alcuna informazione utile al raggiungimento di un accordo. Quindi, se pensate che Putin accenni al Donbass o alla Crimea per porre delle basi negoziali, semplicemente vi illudete: lo fa per saggiare fino a che punto noi siamo pronti a cedere a danno degli Ucraini. Questo comportamento, tipico anche del mondo degli affari, spesso sconcerta noi occidentali che approcciamo i negoziati con un atteggiamento cooperativo: viceversa, è naturale per il russo affrontare i negoziati con forza e una mentalità di confronto, quasi di sfida. Non lo fa solo quando si percepisce forte, ma anche quando vuol solo darlo a vedere. Spesso leggiamo che potremmo fare degli scambi e delle reciproche concessioni e che questo porterebbe la pace: così ragionando, da bravi italiani, figli del mondo mediterraneo, ci aspettiamo che i russi siano disponibili a “contrattare”. Ma di nuovo abbiamo sbagliato strada: il торговаться, cioè proprio il “contrattare” per i russi è azione grossolana e commerciale, non degna di rispetto e priva di dignità.

Questa premessa ci aiuta a capire che cosa sta succedendo fra le diplomazie di Russia e Ucraina e Russia e Occidentali in questo momento: è in atto una situazione di stallo in cui le parti lasciano che siano i campi di battaglia e le guerre urbane a parlare, proprio perché quello che conta per il Cremlino -stante il modo di negoziare tipico di quelle parti- è ancora la forza. I vertici della Federazione russa hanno in mente solo la propria auto-percezione di Stato-Impero, l’avanzamento -sia pure incerto e tremendamente difficile- delle proprie truppe sul territorio ucraino e l’abbondanza di mezzi e sistemi missilistici, anche se sempre più vetusti e inaffidabili.

Non a caso, tre mesi fa al culmine del fallimento del tentativo di accerchiare Kiev, Chernihiv e Sumy, nell’Ucraina settentrionale, il Cremlino, scopertosi a corto di forza, non esitò a compiere una ingloriosa ritirata da un territorio esteso quanto il Nord Italia. Insomma, Mosca sa benissimo che -se a un negoziato ci sono solo un vincitore e uno sconfitto- se sceglie la via negoziale è solo per essere nei panni del vincitore. Sono le cancellerie occidentali, con la presidenza francese in testa, ad essersi fissate di portare Putin a una pace “a somma zero”, senza rendersi conto che così agiscono solo da “utili idioti” del Cremlino, che se accetta di negoziare lo fa per vincere e se perde non negozia ma si ritira per limitare i danni.

Così, quando ci domandiamo che cosa chiede la Russia all’Ucraina e all’Occidente e che condizioni porrebbe durante un negoziato per la pace, dobbiamo considerare solo questo: la Russia vuole vincere, cioè piegare l’Ucraina con la forza e costringerla a un ruolo da inferiore e sottoposto. Ma soprattutto vuole il riconoscimento ucraino della legittimità delle sue azioni, a partire dall’anschluss della Crimea fino all’occupazione del sud e dell’est dell’Ucraina. Chi pensa ad una soluzione di tipo “coreano”, con le due parti che si fronteggiano senza un accordo e senza mai superare il confine fisico che le divide per molte generazioni, dimentica che l’esistenza stessa dell’Ucraina come Stato indipendente è una sfida all’ideologia del Mondo Russo su cui si fonda il regime di Mosca. Soprattutto, il Cremlino non può accettare che l’Ucraina abbia dei “garanti” degli accordi con la Russia né un accordo con un “trigger”, un meccanismo automatico di garanzia dell’Ucraina: così, non sarebbe più in condizioni di inferiorità e sottomissione.

In conclusione, per arrivare a quanto sono disposti a negoziare i Russi, dobbiamo toglierci dalla testa la bramosia di una soluzione negoziale e di un compromesso utile a entrambe le parti: ma soprattutto dobbiamo sgomberare il campo dall’idea, italianissima, di “scambi” e “concessioni” fra la Russia e l’Ucraina. Paradossalmente, ogni passo verso un indebolimento della macchina da guerra di Putin è un balzo verso un pacifico ritiro della Russia, che potrà avvenire anche senza metterlo nero su bianco. La Russia, invece, sarà felice di sedersi al tavolo per un accordo solo se sarà utile a confermare il suo dominio. Insomma, quello che dobbiamo capire è che in tutte le sedi dove l’impero russo o quello sovietico hanno firmato trattati di pace, si è presentata una Russia vincente o sconfitta, mai bramosa di “compromessi

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