“I ragazzi sanno pochissimo, o nulla, di che cosa siano i Pfas, le sostanze che stanno avvelenando le nostre acque e i nostri corpi. È per questo che da cinque anni stiamo girando le scuole superiori per spiegare quello che le autorità pubbliche non dicono”. Donata Albiero, già dirigente scolastica e portavoce della associazione ecologista CiLLSA, Cittadini per il Lavoro, la Legalità, la Salute e l’Ambiente, fa il punto di un progetto scolastico che ha finora portato i volontari a incontrare quasi 6mila studenti negli istituti superiori delle province di Vicenza, Padova e Verona, interessate dal grave inquinamento. Le sostanze perfluoroalchiliche, che si attaccano all’organismo e sono scarsamente solubili, hanno inquinato la seconda falda per estensione d’Europa che si trova nel sottosuolo del Veneto e che interessa decine di migliaia di persone. La società chimica Miteni di Trissino è indicata quale sorgente degli sversamenti, rimasti incontrollati per decenni, che hanno portato alla celebrazione di un processo in corso a Vicenza con 13 manager imputati di avvelenamento di acque e disastro innominato aggravato.

“Il problema è che la vicenda, nonostante il dibattimento, è pochissimo conosciuta e la gente non sa come fare per tutelare la propria salute. Per questo abbiamo chiamato il progetto ‘La salute nella terra dei Pfas’”, spiega Donata Albiero. È una iniziativa nata dal basso, grazie al Gruppo Educativo Zero Pfas, alla sensibilità di qualche educatore scolastico e senza l’aiuto delle istituzioni. “Il nostro primo obiettivo è quello di cambiare il paradigma culturale ed inserire la salute dei giovani al primo posto nella scala dei valori, contro la logica del mercato e del profitto ad ogni costo. Vogliamo risvegliare la coscienza critica delle ragazze e dei ragazzi attraverso un dialogo senza censure. Solo così potranno contribuire alla costruzione di una nuova società civile, più attiva e responsabile, capace di incoraggiare quei cambiamenti politici, economici e sociali coerenti con uno sviluppo umano sostenibile”.

Nelle classi sono entrati esperti di Isde, geologi, professori universitari, funzionari ex Arpav, attivisti di e Legambiente, insegnanti, Mamme no Pfas, genitori che hanno figli contaminati, associazioni e gruppi di cittadini che difendono il loro territorio. “Sono tante voci che si identificano in un’unica corale, la voce del movimento No Pfas del Veneto che ha prevalso e prevale sui tentativi autoritari di tacitare le coscienze e di censurare le evidenze dei fatti”. Non è stato facile entrare nelle scuole. Non sono riuscite a fermarci né le circolari, pervenute agli istituti del padovano che ricordavano ai presidi come, in nome della neutralità, scientificità e competenza, i temi delicati relativi ai Pfas sarebbero stati meglio affrontati con le istituzioni che se ne occupano. Ci siamo incontrati anche con le diffidenze di tanti dirigenti scolastici e docenti che non volevano ‘correre rischi’ con la nostra presenza”.

Insomma, si tratta di una pratica di cittadinanza attiva, come quella delle Mamme No Pfas che lamentano l’assenza delle autorità in un’opera di divulgazione e informazioni nelle scuole e per le famiglie. “Abbiamo concluso uno straordinario biennio 2021/2022, con l’inizio del Processo Miteni e l’attenzione mondiale dell’Onu sull’inquinamento in atto in Veneto, con una missione diretta da Marcos Orellama, che si è occupata di Pfas e diritti umani. – conclude la professoressa Albiero – È emerso il concetto di ‘approccio reattivo’, necessario nelle situazioni in cui la ‘prevenzione’ non è più sufficiente di fronte a un disastro sociale e ambientale già in atto”.

Giuseppe Pietrobelli

Articolo Precedente

Clima, i ministri Ue dell’Energia si accontentano di un 40% di rinnovabili nel mix entro il 2030. La Commissione voleva il 45%

next
Articolo Successivo

“Pesticidi: un’ipocrisia europea?”. Su Arte Tv il documentario sul Brasile, dove i grandi gruppi fanno affari con le agrotossine vietate

next