Tanto tuonò che piovve. Alla fine, dopo i tanti falsi allarmi degli ultimi mesi, la Russia finirà in default. Alla mezzanotte newyorkese di domenica è scaduto il periodo di grazia di 100 giorni per il pagamento di cedole da 100 milioni di dollari su bond denominati nella valuta statunitense. Si tratta di una sorta di default artificiale, causato dal blocco ai movimenti finanziari russi deciso dai paesi occidentali, Stati Uniti in primis. Mosca ha insomma le risorse e la volontà di pagare ma è di fatto impossibilitata a farlo. Sinora i movimenti di denaro russo per pagare gli obbligazionisti esteri erano stati autorizzati ma poi la Casa Bianca ha deciso lo stop totale. Scelta contestata da alcuni osservatori secondo cui in questo modo non si fa altro che lasciare al Cremlino risorse aggiuntive per finanziare il conflitto penalizzando investitori occidentali. Le agenzie di rating statunitensi Fitch, Standard & Poor’s e Moody’s hanno già avuto modo di chiarire che un eventuale pagamento in rubli, anziché in dollari, delle somme dovute non eviterebbe l’ufficializzazione del default.

Per la Russia si tratterebbe del primo fallimento sul debito estero dai tempi della rivoluzione bolscevica del 1918. Un parziale default si verificò anche nel 1998 nell’ambito della crisi finanziaria che coinvolse anche i paesi denominati “tigri asiatiche”. Nelle scorse settimane Mosca ha preannunciato l’intenzione di rivolgersi ai tribunali internazionali competenti per contestare la legittimità della dichiarazione di default argomentando di avere sia la volontà che i soldi per adempiere ai suoi impegni debitori ma di essere impossibilitata a farlo. La dichiarazione di default renderebbe più complicato per Mosca finanziarsi sui mercati internazionali emettendo nuovo debito ma al momento non sembra che la Russia abbia particolari necessità di questo tipo. Solo nei primi 100 giorni di guerra Mosca ha incassato circa 90 miliardi di euro e dollari grazie alle esportazioni di carbone, petrolio e gas.

Le ingenti entrate garantite dall’export di materie prime e importazioni che invece si contraggono a causa delle sanzioni stanno facendo lievitare i surplus della bilancia commerciale e rafforzando il rublo nei confronti della altre valute. Una forza eccessiva, che inizia a diventare controproducente per il paese tanto che la banca centrale russa si è mossa ripetutamente per ridurre il costo del denaro, misura che dovrebbe favorire tra l’altro un indebolimento della valuta nazionale. Nel frattempo le pressioni sul sistema bancario nazionale sono andate progressivamente attenuandosi. I primi giorni del conflitto erano stati contraddistinti da una corsa agli sportelli delle famiglie russe per ritirare i risparmi. Una situazione che aveva indotto la banca centrale a imporre limitazioni sui movimenti di capitale, poi gradualmente rimosse. Dal 24 febbraio a metà marzo il sistema bancario russo ha subito un’emorragia di 10mila miliardi di rubli. La situazione è andata però stabilizzandosi nelle settimane successive con i saldi del sistema bancario tornati positivi da metà aprile in poi.

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