di Sanfilippo Michele

I grandi ed inaspettati successi elettorali del 2013 e soprattutto del 2018 del Movimento 5 Stelle sono a mio parere dovuti ai demeriti altrui più che ai propri meriti. In particolare il 32% raggiunto nel 2018 ha fatto sì che nel Movimento entrassero visioni di protesta eterogenee provenienti da tutto l’arco parlamentare: dai delusi del Pd a quelli di Forza Italia e Lega. E, ad aggravare il problema, nel gran numero di parlamentari eletti, molto maggiore delle aspettative, sono stati eletti molti personaggi veramente improponibili. Questa situazione oggi è perfettamente fotografata dall’attuale frammentazione in Parlamento del Movimento che, ieri, è culminata con la scissione voluta da Di Maio.

Sarà la fine del Movimento? Forse. C’è da gioire? Se si pensa “all’uno vale uno”, certamente sì. La mancanza di competenza s’è dimostrata una vera iattura che ha dato luogo ad alcune pessime scelte ed altrettanto pessimi comportamenti. Se, invece, si pensa ad alcuni temi fondanti del Movimento 5 Stelle – quali ad esempio la giustizia, la deprecabile promiscuità tra politica e affari, l’ambiente, i beni pubblici (acqua, trasporti sanità, etc.), la tutela dei più deboli, per me, la risposta è no, non c’è da esserne felici.

È vero che l’effetto dell’incompetenza (e dell’inesperienza) ha fatto sì che alcuni provvedimenti come, per esempio, quello del reddito di cittadinanza, non siano riusciti benissimo. Si potevano prevedere maggiori controlli sull’elargizione. Però, come si può contestare che il principio era e resta sacrosanto?

Come restano sacrosante tutte quelle istanze, elencate in precedenza, che il Movimento, seppur confusamente e ingenuamente, ha provato a portare al centro del discorso politico. Peccato che le maggiori resistenze siano arrivati proprio da molti esponenti, più o meno in area Pd, che hanno visto il Movimento come il male assoluto (penso a Renzi, Calenda, Marcucci, Lotti etc.). Costoro invece di far proprie, e magari migliorare, istanze che avrebbero dovuto trovare piena cittadinanza all’interno di un partito di sinistra (o sedicente tale), adducendo a pretesto la mancanza di qualità politica (che in molti casi è incontestabile ma che è vera almeno per la metà dei parlamentari), in realtà le hanno sempre avversate.

In particolare giustizia, ambiente e beni pubblici. L’assoluta incertezza della pena, garantita dall’attuale codice di procedura penale di cui la prescrizione è il fiore all’occhiello, è la miglior garanzia per continuare quelle pratiche indecenti tra politica e affari che sono ormai la normalità nel nostro paese e che trovano terreni ampi e fertilissimi proprio nelle privatizzazioni (sanità, previdenza sociale, acqua, energia) e negli appalti pubblici e privati.

Per concludere, quindi, il Movimento 5 Stelle ha provato ma non ha saputo portare avanti le sue battaglie politiche. Ma questo non significa che quelle battaglie fossero sbagliate. C’è solo da augurarsi che da questo fallimento riemerga un soggetto politico che voglia e sappia farsene carico anche cercando alleanze nel tessuto migliore della nostra società civile. La strada è abbandonare il settarismo della prima ora, quello che per intendersi ha favorito la liquidazione in quattro e quattro otto, di Pizzarotti, per sapersi aprire ai valori della cultura e della solidarietà che è presente in tanti ottimi soggetti della società civile (per fare dei nomi: Tomaso Montanari, Anna Falcone, Raffaele Settis, etc.).

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