Hanno cominciato con il pascolo, poi sono passate ai campi coltivati. Innumerevoli e golose, hanno divorato tutto e si sono spinte fino ai centri abitati. Attaccando fiori e limoni. Portando angoscia, dopo aver vanificato il lavoro di pastori e agricoltori, anche tra i titolari delle attività commerciali. La Sardegna continua a fare i conti con l’invasione delle cavallette. Inesorabili, dall’inizio della primavera, i “celiferi” stanno distruggendo le campagne e ora si vedono anche nei giardini: partite dalla piana di Ottana, nel Nuorese, sono arrivate fino ad alcuni centri del Sassarese e dell’ Oristanese. Un’invasione iniziata nel 2019, che si è triplicata nel 2021 fino a decuplicare quest’anno. Un disastro.

LA RABBIA DEI SINDACI – Franco Saba, sindaco di Ottana, ripete ad alta voce un pensiero che esprime bene lo sconforto: “Sono i giorni peggiori della mia vita amministrativa. Non potrebbe essere altrimenti, quando si ha l’invasione anche nel centro abitato, dove per ovvie ragioni non è facile fare la disinfestazione, quando le vedi sulla 131 (l’importante arteria di collegamento che attraversa l’isola da Cagliari a Porto Torres) e cominci a sentire la preoccupazione di chi gestisce un bar o una pizzeria”. E ancora: “Quando ti trovi di fronte alla disperazione di coltivatori e pastori, assistere impotenti alla devastazione del loro lavoro. Cosa posso dire? È dal 2019 che combattiamo: forse si è partiti bene, ma sono state sottovalutate le dimensioni del fenomeno, uomini e mezzi in campo non sono stati numericamente adeguati ad arginare per tempo un fenomeno che ha progressivamente interessato 100 mila ettari. Ci rendiamo conto di quanto sia?”.

Ma il sindaco del centro Nuorese, pur consapevole del fallimento del piano messo in campo dalla Regione, non ha voglia di fare l’elenco dei colpevoli: “Non serve. Adesso c’è bisogno di soluzioni immediate, per evitare di ritrovarci anche in futuro a dover affrontare un’emergenza senza rimedio”. Cosa serva, lui e i sindaci di Bolotana, Sedilo, Noragugume e del Goceano, lo hanno ribadito anche lunedì nel corso dell’incontro con gli assessori regionali all’Ambiente (Gianni Lampis) e all’Agricoltura (Gabriella Murgia) nonché con le squadre in campo (l’agenzia regionale Laore e gli esperti dell’Università di Sassari): “Ora c’è l’impegno a formare il tavolo tecnico, ma questo deve concretizzarsi con la dotazione di uomini, mezzi e fondi – incalza il sindaco di Ottana – che si chieda anche l’intervento dell’Esercito, in modo da poter lavorare anche la notte, quando le condizioni climatiche sono più favorevoli e gli interventi sarebbero sicuramente più efficaci. La problematica va affrontata a 360 gradi, altrimenti l’anno prossimo saremo punto e capo. E non possiamo permettercelo”.

LA RICHIESTA ALLA FAO – Rita Zaru, alla guida dell’amministrazione comunale di Noragugume, è arrivata anche a chiedere l’intervento della Fao. “Non amo azioni eclatanti – premette la sindaca – ma sono convinta che in una situazione critica come questa, sia utile avere più forze in campo. Vista la complessità del fenomeno, e considerati i cambiamenti climatici e il rischio che il fenomeno interessi anche altre regioni, sarebbe importante avere una ulteriore consulenza, senza voler con questo screditare il lavoro svolto fin qui dalle altre forze in campo o lanciarmi in una improduttiva caccia alle streghe”. Un appello al quale Maurizio Martina – vice direttore generale dell’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – ha risposto sostenendo di essersi attivato con il ministero delle Politiche agricole per avviare un contatto tra uffici Fao e gli esperti impegnati ad affrontare il fenomeno in altre zone del mondo. Resta l’incognita dei tempi, sempre lunghi quando si tratta di burocrazia. “Ecco perché nel frattempo è fondamentale erogare immediati ristori: al domani ci dobbiamo arrivare superando l’oggi, serve immediatezza per consentire alle aziende in ginocchio di rimettersi in piedi. Noi siamo dalla parte del territorio e ci adopereremo anche per ripensare al nostro modo di rapportarci con la terra”.

IL PENSIERO DELL’AGRONOMO – La convinzione che l’annata sia ormai persa e poco ci sia da fare, rende urgente mettere in atto nuove strategie. A partire dalla necessità di modificare le politiche comunitarie che hanno favorito l’abbandono dei campi. “In passato pagavano in base ai quintali con un sostegno al prezzo del prodotto rispetto al valore di mercato, poi hanno deciso di calcolarlo in base alla superficie: questo ha portato a una minore coltivazione dei campi che, progressivamente, sono stati lasciati sempre più in abbandono”, dice l’agronomo Ettore Crobu. Un sistema che ha favorito il proliferare delle cavallette. Ecco perché l’arma più efficace per debellare questa piaga non può che essere il ritorno alla lavorazione dei campi. Anche prevedendo finanziamenti ad hoc che incentivino il settore. Con una catena di indiscutibili vantaggi, anche dal punto di vista della prevenzione degli incendi e per quanto riguarda la riduzione della dipendenza da altri Paesi sulle materie prime.

Articolo Precedente

Appennino Bike tour, parte la quinta edizione del “Giro d’Italia” di Legambiente per promuovere il cicloturismo nelle aree interne

next
Articolo Successivo

Siccità, sul Po i trattori con le pompe in azione per garantire l’irrigazione dei campi: è la prima volta in 90 anni – Video

next