L’ultimo giorno di campagna elettorale a Palermo è segnato da uno scambio al veleno tra i due candidati. L’occasione è data dalla notizia – pubblicata su La Stampa – che un candidato al quartiere in una lista collegata all’aspirante sindaco di centrosinistra, Franco Miceli, è figlio di un condannato per favoreggiamento alla mafia. Così che il contendente, Roberto Lagalla, dopo settimane in cui è stato accusato di avere appoggi pesanti – tra i suoi sostenitori ci sono Marcello Dell’Utri, che ha scontato una pena in carcere per concorso esterno, e Totò Cuffaro che in carcere ha scontato una pena per favoreggiamento – infine gongola: “Chi per settimane mi ha definito strumentalmente e velenosamente un pupo ospita nelle proprie liste il figlio di un mammasantissima, in carcere da anni per reati di mafia. La questione morale declinata a questione di opportunità. Per alcuni la clava, per il diretto discendente di un mafioso ospitato nelle patrie galere il tappeto rosso”, così affonda il coltello l’ex rettore, ora aspirante sindaco.

Nicola Piraino è, infatti, candidato alla sesta circoscrizione nella lista Progetto Palermo, ed è figlio di Biagio Piraino, fino al 2020 meccanico incensurato, poi finito in carcere con l’accusa di favoreggiamento alla mafia perché considerato vicino a Giovanni Nicoletti, boss del quartiere Noce-Cruillas. Una vera e propria tegola per il candidato di centrosinistra, che però si difende: “Stiamo parlando di un caporal maggiore, di un militare dalla carriera limpida costellata da encomi, che ha rinnegato suo padre, scelta per la quale ci vuole anche un certo coraggio e che merita la stima di tutti noi, come altri hanno dovuto fare nella storia della nostra Sicilia”. E rilancia la palla dall’altro lato del campo: “Comportamento ben diverso da chi apre le porte ai condannati come Dell’Utri e Cuffaro – affonda Miceli – o da chi mercanteggia voti con i boss di Cosa Nostra”. Il riferimento del candidato del Pd e del M5s è all’arresto, mercoledì mattina, di Pietro Polizzi, candidato al consiglio comunale nella lista di Forza Italia, accusato dalla Dda di Palermo di avere siglato un patto politico-elettorale col boss Agostino Sansone, membro di una famiglia di mafia nota per avere favorito la latitanza di Totò Riina.

Polizzi nei giorni scorsi ha dichiarato l’intenzione di rinunciare allo scranno in consiglio comunale qualora venisse eletto, dopo che Gianfranco Micciché, coordinatore regionale di Fi, ha ammesso di avere commesso un errore nel candidarlo. A ritirare la candidatura, sempre su pressione del coordinatore di Fi, anche la candidata in tandem con Polizzi, Adelaide Mazzarino, moglie di Eusebio Dalì, vicedirettore dell’Azienda siciliana trasporti, partecipata della Regione. Dalì, impegnato in campagna elettorale con un suo movimento, era stato intercettato in un’inchiesta che lo scorso febbraio ha travolto i vertici dell’Ast mentre diceva: “Siamo diventati l’ufficio di collocamento di Forza Italia”. Parole da lui definite solo “chiacchiere: Micciché non ha chiesto nulla”. Nelle scorse settimane, invece, era venuta fuori la parentela acquisita dello stesso Lagalla con Antonio Ferro, considerato uomo di spicco della mafia ad Agrigento e zio della moglie dell’aspirante sindaco, Maria Paola Ferro (è il fratello del padre): “Si tratta di una parentela priva di qualsivoglia frequentazione. Non ho mai conosciuto, né intessuto rapporti, di qualsiasi forma e maniera, con certi ambienti e con le persone in questione”, aveva spiegato Lagalla.

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