A Severodonetsk quello che si autodefinisce il “secondo esercito del mondo” è incappato in un secondo, micidiale déjà vu, andando a cozzare ancora una volta su un’area industriale come a Mariupol, e stenta ad attraversare un fiumiciattolo. La premessa per capire cosa succeda attorno alla città-chiave della terza fase della guerra ci viene suggerita da John Spencer, uno dei più noti teorici del Urban Warfare, cioè del combattimento in aree urbane: “Le città sono piene di strutture ideali per scopi di difesa militare. Grandi edifici governativi, complessi dirigenziali o impianti industriali sono realizzati in cemento armato spesso e rinforzato con acciaio che li rende quasi impermeabili a molte armi”. Quindi, chi attacca, in questo caso i Russi, non ha nessun vantaggio dal combattere in mezzo a palazzi e, soprattutto, a capannoni industriali, in quanto “ogni edificio”, a parlare è sempre Spencer, “interrompe il movimento in avanti della forza attaccante”.

In alcuni casi storici, solo pochi combattenti in un edificio, come quelli nella casa di Pavlov a Stalingrado, riuscirono a fermare intere divisioni di fanteria meccanizzata. I tedeschi, nell’autunno 1942, attaccarono l’edificio parecchie volte al giorno per 58 giorni. Ogni volta che la fanteria o i carri armati hitleriani tentavano di attraversare la piazza ed avvicinarsi alla casa, gli uomini del sergente Jakov Pavlov facevano partire un devastante fuoco di sbarramento grazie alle mitragliatrici e ai fucili anticarro posizionati al piano terra, alle finestre e sul tetto, azzerando l’offensiva tedesca e costringendola a ritirarsi. Vasily Chuikov, comandante generale delle forze sovietiche a Stalingrado, in seguito scherzò sul fatto che i tedeschi persero più uomini nel tentativo di prendere la casa di Pavlov di quanti ne persero a Parigi. Non a caso metà dei generali e dei colonnelli persi dai Russi dal 24 febbraio sono stati ammazzati a Mariupol, in quella che è considerata la più dura battaglia urbana dopo il 1945.

“In qualsiasi altro ambiente dove è presente una difesa, un esercito attaccante cercherebbe di evitare le posizioni più forti del nemico, manovrando intorno ad esse per sferrare colpi di sorpresa o ammassandosi su un’unica posizione nella linea difensiva per aggirare le principali fortificazioni. Ma in un’operazione di attacco su larga scala in città”, così come in un distretto industriale, “gli edifici non possono essere evitati. Non possono essere aggirati. Ciò lascerebbe un nemico in grado di attaccare i fianchi e la parte posteriore dell’unità che avanza”. Così, ogni difensore ucraino è stato capace, per quasi tre mesi e con i Russi favoriti da linee di rifornimento “a chilometro zero”, di rendere la vita un inferno fino a dieci invasori russi.

L’apparente stallo di Severodontesk, che non durerà all’infinito ma è costato ai Russi più di quanto erano pronti e disposti a investire in termini di uomini e mezzi, è ben spiegabile in quanto i difensori ucraini possono nascondersi in qualsiasi delle migliaia di luoghi di un distretto industriale. Come a Stalingrado e a Mariupol, i difensori possono scegliere gli edifici migliori in cui appostarsi e in ogni edificio, le finestre, i vicoli o le buche delle fogne dove appostarsi. A Severodonetsk hanno anche il vantaggio, che non avevano a Mariupol, di avere la strada più o meno aperta per tentare una ritirata o per ricevere rifornimento. Possono, come spiega il solito Spencer, “anche scegliere il momento del contatto decidendo quando attaccare la forza in avvicinamento”. Possono combattere come un esercito regolare o usare tattiche di guerriglia per attaccare e poi scomparire. Ma soprattutto “possono canalizzare le forze armate attaccanti per tendere imboscate o lungo strade piene di trappole esplosive ”.

Se un esercito vuol evitare di dissanguare interi battaglioni nel tentativo di entrare fisicamente in un distretto urbano o industriale tenuto da dei resistenti, l’unica soluzione per abbattere una fortificazione urbana rimane quella di distruggerla o indebolirla con munizioni esplosive e quindi inviare la fanteria. Se è vero che alcuni grandi edifici possono essere completamente distrutti con enormi munizioni come bombe da parecchi quintali o di più di una tonnellata di esplosivo, è altrettanto vero che ciò non vale per tutti: l’acciaieria Azovstal di Mariupol resse a colpi devastanti per mesi e fu abbandonata solo quando esaurì la sua funzione di logoramento delle forze russe. Quindi, se l’edificio non può essere raso al suolo né distrutto in parte, come spesso succede con fabbriche costruite come fortezze, spetta ai soldati di fanteria, russi o mercenari, fare il lavoro sporco e difficile. Nonostante tutte le tecnologie di cui dispongono gli eserciti, partecipare a un’operazione del genere può essere uno dei rischi maggiori per la vita di un soldato. O anche segnarne la fine.

Mutatis mutandis, lo stesso concetto si applica all’attraversamento di un fiume che non è né largo come il Don e il Dnipro né in piena per la stagione invernale, come è stato il caso del Seversky Donets, nelle ultime settimane. Fra la fine di aprile e il weekend appena trascorso Putin ha più e più volte imposto ai suoi generali di attraversare quello che, guardato sulla mappa da Mosca, appare poco più che un rigagnolo d’acqua. Purtroppo per lui (e soprattutto per le sue truppe), l’attraversamento di quel fiumiciattolo richiede una serie di operazioni che espongono i Russi ad attacchi rapidi, sorprendenti e devastanti da parte degli Ucraini. In particolare, devono collocare dei pontoni, far affluire le truppe e disporle in modo tale che possano attraversare le acque in relativa sicurezza. Peccato che, a causa dello scarso addestramento e della mancanza di disciplina, gli uomini di Putin debbano spostarsi stando, come direbbe un comico, “vicini vicini”, perché così si possono controllare l’uno con l’altro, gli ufficiali più bassi in grado possono coordinarli in modo più efficace e quelli più alti in grado, colonnelli e generali, possono far rispettare gli ordini. È dai tempi di Teutoburgo che i militari sanno che un esercito messo in colonna, a ranghi serrati per non scomporsi, diventa preda di qualsiasi attacco. Insomma, attraversare quello che per il Cremlino è un fiumiciattolo, può costare un intero battaglione. Alla fine, prendere Severodonetsk avrà per Mosca un prezzo in termini di perdite più grande di quante ne avrebbero immaginate per l’intero conflitto lo scorso 24 febbraio. Così il bagno di sangue diventerà ancora più visibile nei cimiteri russi.

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