Boris Johnson è arrivato alla resa dei conti sullo scandalo Partygate. Il partito Tory dovrà infatti decidere se sfiduciare o meno il proprio leader e premier britannico dato che è stato raggiunto il quorum del 15%, 54 in totale, di lettere di sfiducia presentate nei suoi confronti dai compagni di partito. Lo scrutinio, con il voto che tecnicamente sarà sul ruolo di Johnson come leader conservatore, è previsto tra le 18 e le 20 ora locale e quantificherà definitivamente le conseguenze politiche dello scandalo delle feste illegali a Downing Street in pieno lockdown. Un appuntamento che può portare a conseguenze totalmente opposte sulla carriera di Johnson come leader e capo del governo: in caso di sfiducia votata dal 50%+1 dei parlamentari, il primo ministro dovrebbe dimettersi e, probabilmente, dire addio alla sua avventura politica, mentre in caso di vittoria l’inquilino di Downing Street potrà finalmente mettere la parola fine su uno scandalo che lo espone periodicamente ad attacchi e richieste di dimissioni da parte delle opposizioni e consolidare la propria posizione.

Alla decisione interna al partito si arriva dopo settimane in cui il malcontento dei colleghi è sembrato crescere gradualmente, anche in seguito alla pubblicazione del rapporto Gray sulle feste tenute dai membri dell’amministrazione, alcuni dei quali hanno già dato le proprie dimissioni, una anche alla vigilia dei funerali del principe Filippo. Fino ad ora, le conseguenze per Johnson si limitano a una multa inflitta dalla polizia, se si esclude il calo nei sondaggi.

Il numero delle lettere di sfiducia inviate da deputati ribelli al Comitato 1922 è salito a 54 nel corso del week-end, ha annunciato oggi Graham Brady, il presidente di questo organismo interno al gruppo Tory incaricato di raccogliere iniziative del genere e d’indire nel caso le votazioni sul leader di turno. Brady ha precisato che diversi contestatori hanno fatto in modo che la loro adesione fosse formalizzata non prima di domenica pomeriggio, in modo da far scattare l’annuncio dopo la fine dei quattro giorni di celebrazioni pubbliche del Giubileo di Platino senza turbare la festa per i 70 anni di regno della regina Elisabetta chiusasi proprio ieri. E ha ribadito che se Johnson supererà indenne il voto di stasera sarà al riparo da un altro voto di sfiducia interno al partito almeno per un anno, salvo cambiamenti di regole.

Da Downing Street si dichiarano “contenti” di poter accettare la sfida e di sostenere le ragioni del premier dinanzi ai colleghi di partito. È un voto che “offre l’occasione di porre fine a mesi di congetture e che permetterà al governo di mettere un punto (sul Partygate) e di passare a occuparsi di altre cose che riflettono la priorità della popolazione“, ha detto il portavoce insieme ad alcuni ministri. Sulla carta Johnson sembra poter contare ancora sulla fiducia di più della metà dei deputati Tory, ma lo scrutinio sarà segreto e questo potrebbe rappresentare un’insidia. Secondo quanto riporta la Bbc, comunque, 18 dei 22 membri del governo hanno già dichiarato pubblicamente che voteranno perché Johnson rimanga leader dei Tory, mentre sono 50 i deputati conservatori che hanno espresso pubblicamente il loro sostegno al premier.

Dall’opposizione, il leader laburista Keir Starmer torna comunque a chiedere la caduta del governo Johnson, lanciando un appello ai deputati conservatori: “Date prova di leadership e liberatevi di Boris Johnson“, ha dichiarato. Starmer ha detto che al Labour potrebbe anche convenire continuare a fronteggiare un premier la cui reputazione è stata “pesantemente danneggiata” dal Partygate, ma ha aggiunto di sperare la maggioranza dei conservatori stacchi comunque la spina a BoJo per ragioni di “interesse nazionale”. Il numero uno dei laburisti si è quindi detto certo che gli umori del Paese verso BoJo siano irrimediabilmente cambiati, come testimonierebbero i fischi contro di lui riecheggiati persino a margine del Giubileo di Platino, e che i britannici abbiano ormai la sensazione che “quest’uomo non dica mai davvero la verità”.

Johnson non è il primo premier britannico ad affrontare un voto di sfiducia. Prima di lui, nel 2018, toccò a Theresa May, criticata dai deputati conservatori per la gestione della Brexit. Quando il 15% dei suoi parlamentari ha dichiarato di non avere fiducia nella sua leadership è stata indetta una votazione, come accadrà oggi per Johnson. May ne è uscita vincitrice, con il 63% dei parlamentari che l’hanno sostenuta.