Salario minimo, ci siamo. O meglio, c’è l’Europa, che nelle prossime ore partorirà una direttiva per imporre a tutti gli Stati membri di affrontare il problema del lavoro povero. Quanto all’Italia, il dibattito che si è riacceso negli ultimi mesi e il protagonismo del ministro del Lavoro Andrea Orlando stanno solo a dimostrare il nostro forte ritardo. Varata la direttiva, l’Italia avrà due anni per adottarla, sempre che bastino. Perché i disegni di legge sulla materia sono fermi al palo e anche di riforma della rappresentanza sindacale, tappa obbligata per attuare le nuove indicazioni di Bruxelles, finora si è solo parlato. Ma soprattutto c’è da mettere d’accordo tutti, dalle parti sociali ai partiti politici, a partire da quelli di governo, dove Pd, M5s e sinistra sono favorevoli a fissare il salario minimo legale mentre il centrodestra è contrario. Così, mentre in queste ore il ministro Orlando definisce la direttiva Ue “un assist per i lavoratori“, il suo collega alla Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha più volte ribadito che “il salario minimo per legge non va bene” e che è contrario “alla nostra storia culturale di relazioni industriali”. E mentre in commissione Lavoro al Senato c’è chi si augura che l’iter della proposta sul salario minimo possa accelerare dopo le amministrative, da Forza Italia già mettono le mani avanti parlando di “totem ammuffito”.

E’ in arrivo nelle prossime ore l’accordo tra Consiglio europeo, Commissione e Parlamento europeo sul salario minimo. Il provvedimento, già approvato in prima lettura dall’europarlamento e dal Consiglio, dovrebbe vedere tra stasera e domani l’approvazione definitiva che porterà al varo della direttiva il 22 giugno o il 7 luglio prossimi. Il testo lascia agli Stati di decidere se adottare una legge sul salario minimo, fissando una soglia per i compensi, o se garantirlo attraverso una maggiore presenza della contrattazione collettiva, la cui copertura sarà fissata in una soglia compresa tra il 70% e l’80% “con l’obiettivo di rafforzarla”, come ha ribadito il commissario Ue al Lavoro, Nicolas Schmit. Niente cifra minima per la paga oraria dei lavoratori europei, dunque, ma elementi utili a stabilire un livello equo e soprattutto un’efficiente disciplina della rappresentanza, che in Italia necessita di una riforma anche a prescindere dalla questione del salario minimo. Perché da noi i contratti sono ormai quasi mille e resta impossibile stabilire quali sono firmati da parti sociali davvero rappresentative dei lavoratori e quali sono invece i cosiddetti “contratti pirata” che contribuiscono alla concorrenza al ribasso, a indebolire la contrattazione e a fare dell’Italia l’unico Paese europeo dove negli ultimi trent’anni i salari non sono cresciuti, ma diminuiti del tre percento.

Nella Ue dei Ventisette, l’Italia è tra i sei paesi che non hanno un salario minimo legale insieme a Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia. In Europa, stando agli ultimi dati Eurostat, la misura viaggia tra i 332 euro mensili della Bulgaria e i 2257 euro del Lussemburgo. Nel nostro paese le proposte di legge non sono mancate, ma al dunque non si è mai giunti principalmente a causa della contrarietà delle parti sociali. Con i sindacati da un lato, preoccupati di vedere i datori che applicano il salario minimo scappando però dalla contrattazione e disapplicando i contratti collettivi a meno che non si arrivi a quelli unici, “di categoria”, come ha paventato ancora oggi il segretario Uil, Pierpaolo Bombardieri. E gli imprenditori dall’altro, con posizioni come quelle di Confindustria che nei mesi scorsi è arrivata a parlare di “ricatto”. “Non è tema che ci riguarda, perché i contratti da noi firmati prevedono già paghe superiori”, si è smarcato oggi il presidente dei confindustriali, Carlo Bonomi. Che rilancia: “Se lo si vuole stabilire per legge, l’importante è che non tocchi la contrattazione collettiva che fino ad oggi ha funzionato più che bene”. Il tavolo con le parti sociali è tutto da costruire, dunque. E se il ministro Orlando sembra avere incassato la disponibilità di una parte dei sindacati, con il segretario Cgil Maurizio Landini che però lega sempre la riforma a quella sulla rappresentanza, ancora oggi ammette che al salario minimo per legge si arriverà “solo con una maggioranza politica più omogenea”. La soluzione del ministro? “Una norma che leghi il salario minimo ai contratti maggiormente rappresentativi“. Un modo come un altro per dire che la fissazione di una cifra minima si può anche evitare e che invece, già con la sola riforma della rappresentanza si può alzare la paga ai lavoratori e dare una risposta a Bruxelles prima che si inizi a parlare di procedura di infrazione.

Intanto in commissione Lavoro al Senato si trascina la legge firmata dall’ex ministra del Lavoro, la Cinquestelle Nunzia Catalfo, scelta tra le sei proposte depositate come base per la discussione da portare avanti. Aggiornata nel 2021, la proposta del M5s prevede non più solo il salario minimo fissato per tutti a 9 euro l’ora, soglia che oggi non raggiungono ben 4,5 milioni di lavoratori, ma anche la riforma della rappresentanza delle parti sociali nella contrattazione collettiva, oltre a proporre la detassazione degli aumenti dettati dai rinnovi contrattuali per disincagliare trattative che vedono contratti collettivi scaduti da anni e retribuzioni che l’attuale dinamica inflazionistica colpirà ancora più duramente. Dopo gli impegni elettorali delle comunali si dovrebbe arrivare all’esame degli emendamenti, ma il confronto interno alla maggioranza di governo già promette scintille. “Siamo in attesa dei pareri dei ministeri competenti e torniamo a sollecitarli”, hanno dichiarato oggi i parlamentari M5s che siedono in commissione Lavoro a Palazzo Madama. Ma già la loro collega, la senatrice di Forza Italia Fiammetta Modena, taglia corto e parla di “risposta errata”: “Il salario minimo è solo un totem un po’ ammuffito e senza prospettive, che non darà risposte a chi protesta per gli orari senza tempo libero, a chi prende poche centinaia di euro perché costretto a lavorare in nero, a chi svolge lavori che lo fanno sentire dequalificato”.

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