Le bugie hanno le gambe corte. Anche se sono di plastica, come ha dimostrato pochi giorni fa un approfondito studio di Greenpeace, riportato da ilfattoquotidiano.it, da cui risulta che la plastica monouso all’italiana, pubblicizzata come a impatto zero, in realtà va a finire in buona parte in inceneritori o discariche.

Si tratta, come è noto, dei prodotti monouso in plastica biodegradabile e compostabile che l’Italia ha voluto “salvare” dal divieto totale di commercio sancito dalla direttiva europea sostenendo, appunto, la loro innocuità per l’ambiente. Affermazione decisamente negata dalla Commissione Ue, la quale, come già abbiamo ricordato su queste colonne, nelle Linee guida per l’applicazione della direttiva emanate il 7 giugno 2021, evidenziava che la direttiva riguarda anche “la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo”; aggiungendo, negli “Orientamenti per l’applicazione delle norme sulla plastica monouso” (Bruxelles 31 maggio 2021), che; “attualmente non esistono norme tecniche ampiamente condivise per certificare che un determinato prodotto di plastica sia adeguatamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente”. Insomma, esattamente quello che oggi viene chiaramente dimostrato dallo studio Greenpeace, rispetto al quale le “smentite” delle industrie interessate, correttamente riportate dal Fatto (insieme alla replica dell’associazione), sembrano smentire ben poco, ed anzi contengono molte ammissioni.

Né la conclusione cambia se, come sostiene l’Italia, si tratta di oggetti in carta ricoperti di plastica. Basta leggere la definizione (art. 3, n. 2 della direttiva) di “prodotto di plastica monouso” per vedere che essa comprende anche “il prodotto fatto di plastica in tutto o in parte”. Peraltro, come spiega la Commissione Ue, “quando questo tipo di prodotti – come tazze, contenitori o piatti per alimenti – vengono gettati via, la carta si degrada in maniera relativamente rapida, ma la parte di plastica può rimanere nell’ambiente per molti anni e può potenzialmente disintegrarsi ulteriormente in particelle di microplastica. L’esclusione di tali prodotti dall’ambito di applicazione della direttiva indebolirebbe il suo impatto sulla riduzione dei rifiuti marini e sulla promozione di un’economia più circolare, non da ultimo a causa del rischio che le tazze fatte interamente di plastica siano semplicemente sostituite da altre a base di carta con rivestimenti o strati di plastica, senza modificare i relativi modelli di consumo che incoraggiano gli sprechi”.

Ed è proprio questo, a mio sommesso avviso, il fatto più grave di questa brutta vicenda Perché, in questo modo, l’Italia ha dimostrato con chiarezza che per il nostro paese le regole Ue sull’economia circolare valgono solo se “sostenibili” per il nostro mercato. Altrimenti la gerarchia comunitaria sui rifiuti non esiste più e ci si dimentica che “il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto”. Con buona pace della politica comunitaria sulla transizione ecologica che vuole, appunto, modificare un tipo di sviluppo basato sul consumismo quale quello dell’usa e getta e richiede una profonda modifica dei modelli di vita, di produzione e di consumo in funzione della sostenibilità ambientale e della limitatezza delle risorse.

Fatto tanto più grave se si pensa che questa vergogna è stata voluta da Confindustria e dalla Lega con l’appoggio totale di Cingolani, nostro ministro della Transizione ecologica. E che, come se non bastasse, l’art. 4, comma 7 della legge italiana, “al fine di promuovere l’acquisto e l’utilizzo di materiali e prodotti alternativi a quelli in plastica monouso”, riconosce addirittura un contributo pubblico a tutte le imprese che acquistano e utilizzano prodotti “che sono riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile e/o compostabile, certificato secondo la normativa UNI EN 13432:2002”, anche se si tratta dei prodotti espressamente vietati in sede comunitaria ma ammessi dalla deroga italiana

Insomma, veramente una vergogna. Tanto è vero che la Ue ha già iniziato una procedura di infrazione contro l’Italia il cui esito è largamente scontato.

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