La corsa al riarmo dell’Ue passa dall’Ucraina. Come annunciato ieri dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, gli Stati sono pronti a stanziare “ulteriori 200 miliardi di euro di spese per la difesa nei prossimi anni”. Un impegno che sia la capa di Palazzo Berlaymont che l’Alto rappresentante per la Politica Estera, Josep Borrell, definiscono necessario a causa del “processo di silenzioso disarmo” avvenuto tra il 2008 e il 2014, quando “abbiamo ridotto le nostre capacità militari in un modo davvero scioccante“. Così, alla luce delle minacce alla sicurezza messe in evidenza dal conflitto ucraino, Bruxelles ha deciso di investire pesantemente nel settore militare, con un piano di acquisti che deve essere però coordinato tra gli Stati membri, a differenza del passato, un po’ come fatto per l’acquisto degli stock di vaccini per contrastare il diffondersi della pandemia di coronavirus.

“Il ritorno della guerra in Europa ha evidenziato gli effetti di anni di spesa insufficiente per la difesa – ha dichiarato von der Leyen al Vip Corner di Palazzo Berlaymont – Abbiamo perso un decennio negli investimenti per la difesa a causa di tutti questi tagli. Tuttavia, gli Stati membri stanno ora invertendo questa tendenza. Ora dobbiamo mantenere lo slancio. Dobbiamo assicurarci che questo denaro venga speso in modo coordinato, che colmi le lacune di capacità individuate sia dall’Ue che dalla Nato, che rafforzi la nostra base industriale europea della difesa a lungo termine”. Uno slancio che dovrà avvenire in maniera coordinata, come successo con l’approvvigionamento dei vaccini, e non in ordine sparso, così da anticipare il modus operandi che dovrà essere consolidato e implementato in prospettiva di un progetto di difesa comune: “Chiediamo un appalto congiunto perché è meglio operativamente per le forze armate, finanziariamente e industrialmente – ha aggiunto la presidente – E rafforza la nostra vasta rete di Pmi innovative. Istituiremo immediatamente una task force con gli Stati membri per coordinare i rifornimenti immediati e le esigenze di approvvigionamento. Sarà accompagnato da uno strumento di incentivazione finanziaria all’acquisto congiunto. E in autunno proporremo un regolamento per garantire che gli appalti congiunti beneficino dell’esenzione totale dall’Iva. Ciò rafforzerà la nostra indipendenza e resilienza. E allo stesso tempo rafforzerà la Nato”.

La situazione attuale, dopo il già citato “lento processo di disarmo” iniziato nel 2008, viene descritta come un vero problema da Borrell: “Ognuno ha fatto da sé. Il risultato è che l’Europa dal punto di vista militare, come insieme di 27 eserciti, si deforma, con duplicità e ammanchi. Bisogna rimettere le nostre capacità militari all’altezza delle sfide che esistono”, anche a livello di industria della difesa che “deve essere sviluppata”. “Oggi – continua – acquistiamo fuori dall’Europa oltre il 60% degli equipaggiamenti militari. È troppo, bisogna ridurre la nostra dipendenza” dall’esterno. “Non è una corsa alle armi, ma l’arresto del disarmo. E le minacce ci sono, bisogna farvi fronte, anche per aiutare i Paesi amici che devono affrontarle. Bisogna essere in grado di agire in campo militare come già facciamo sul piano diplomatico”.

Ma se le parole dei due esponenti della Commissione sembrano descrivere una situazione di forte debolezza militare europea rispetto alle altre grandi potenze mondiali, questo viene parzialmente smentito dai dati. È vero infatti che gli investimenti a livello europeo nel settore della Difesa negli ultimi anni sono stati, in percentuale, al di sotto della media degli altri attori mondiali, ma in numeri assoluti l’Ue rimane una delle più importanti potenze militari a livello globale. Bruxelles, infatti, cita i dati sull’aumento delle spese militari dal 1999 al 2021, nei quali emerge che “l’Ue nel suo complesso ha aumentato le spese solo del 20%, gli Usa del 66%, la Russia del 292%, la Cina del 592%”. Mario Draghi, però, ha notato che “l’Ue spende tre volte più della Russia”. E non si sbaglia: secondo i dati Sipri pubblicati da Domani, “nel 2014, nell’Ue pre-Brexit, sono stati spesi 244 miliardi di dollari, nel 2019 sono diventati 280, nel 2021 erano 304 calcolando il Regno Unito, 242 senza. La Russia ha speso 64 miliardi nel 2014, 60 nel 2019 e 63 nel 2021. La Cina ha sborsato 183 miliardi nel 2014, 246 nel 2019 e 270 nel 2021. Gli Usa 708 miliardi nel 2014, 743 nel 2019, 768 nel 2021″. Solo la spesa militare americana, quindi, può essere considerata sensibilmente superiore a quella europea.

Non c’è solo ottimizzazione della spesa grazie al coordinamento tra Stati, che l’Ue vuole incentivare con l’esenzione dall’Iva e sgravi agli acquirenti di materiale bellico, ma anche la necessità impellente, sostengono, di aumentare le quantità di armamenti a disposizione dei Paesi Ue. Innanzitutto per prepararsi a nuove forniture all’Ucraina per resistere all’offensiva russa, ma anche per gettare le basi per un vero arsenale europeo che sia vasto, completo e ben organizzato, evitando acquisti “doppioni” causati dallo scarso coordinamento. L’investimento pilota della Commissione copre fino al 2024, grazie a mezzo miliardo del bilancio europeo. Ma fino ad oggi l’esistenza di un fondo europeo per la difesa non ha favorito la collaborazione tra i vari governi: “Nonostante nel 2020 la spesa per la difesa europea sia aumentata – fa sapere la Commissione -, gli investimenti fatti in modo collaborativo sono calati all’11%”.

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