Anche nel caos del conflitto russo-ucraino, a pagare, almeno in parte, rischiano di essere nuovamente le popolazioni curde. Non è bastato aver utilizzato i combattenti delle Unità di Protezione Popolare (Ypg/Ypj) come fanteria della coalizione occidentale, sacrificando migliaia di uomini e donne del nord-est siriano per riconquistare i territori mangiati dal Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, mentre le grandi potenze aprivano la strada con i raid aerei senza mai tradire il mantra No boots on the ground. Non è bastato nemmeno il tradimento della stessa alleanza anti-Isis che, una volta decapitata l’entità voluta dalle Bandiere Nere in Siria e Iraq, ha lasciato alle popolazioni curde la gestione dei prigionieri e la difesa del proprio territorio assediato non più dai terroristi di Isis, ma dall’esercito turco che ne vuole prendere definitivamente il controllo, anche usando ex combattenti fedeli allo Stato islamico e al-Qaeda. Oggi, in cambio dell’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, mette come condizione lo stop al “supporto di questi Paesi ai terroristi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk)”.

Quella dei principali rappresentanti dell’esecutivo di Ankara è innanzitutto una dichiarazione errata in partenza: il Pkk è stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche non solo dalla Repubblica turca, ma anche da Stati Uniti e Unione europea. È quindi difficile pensare che due Paesi membri possano offrire ospitalità e sostegno al gruppo, se non per il fatto che concedono asilo politico ai cittadini turchi di etnia curda in fuga dal Paese, dove quindi sono considerati perseguitati.

Ma nel tentativo di schiacciare la resistenza delle popolazioni di etnia curda in patria e anche nel nord-est della Siria, la Turchia non manca mai di racchiudere le varie sigle che rappresentano il panorama curdo sotto quella del Pkk, che ha base proprio in Turchia. Ecco spiegate così le accuse nei confronti di Svezia e Finlandia che, anche a causa di una importante comunità curda ospitata, offrono in effetti supporto ai rifugiati del Kurdistan iracheno, unica regione autonoma che in realtà mantiene buoni rapporti con Ankara, e appunto ai combattenti delle Ypg/Ypj siriane che Erdoğan sostiene essere una diramazione locale del Pkk, continuando ad assediarli oltre i propri confini dopo aver avuto di fatto campo libero dagli Stati Uniti e dai loro alleati, ritiratisi dalla Siria senza offrire garanzie alla popolazione locale dopo l’operazione anti-Isis.

La presenza curda in Svezia è stimata in oltre 70mila individui, la loro presenza è caratterizzata da un’importante struttura di organizzazioni della società civile che ricevono sostegno dal governo di Stoccolma, tanto che nelle scuole e soprattutto negli asili già prima degli Anni 2000 sono stati assunti insegnanti parlanti curdo per favorire l’integrazione delle nuove generazioni nel Paese. Inoltre, dal 2017 sono ben 6 i parlamentari di origine curda che siedono al Parlamento di Stoccolma.

Il sostegno svedese non si limita all’integrazione delle popolazioni accolte nel Paese scandinavo. Più volte il governo ha tenuto incontri con membri delle Ypg/Ypj, sia di persona che in videoconferenza, tanto che la formazione ha addirittura un ufficio di rappresentanza a Stoccolma dal 2016. Inoltre, nel dicembre scorso la ministra degli Esteri Ann Linde ha dichiarato che “la Svezia rimane un partner attivo” dei combattenti siriani, annunciando uno stanziamento per il 2023 di 376 milioni di dollari a sostegno dell’organizzazione, contro i 210 milioni del 2022. A questo si aggiunge il fatto che, sostengono da Ankara, negli attacchi contro le postazioni militari turche in patria, Iraq e Siria, siano stati usati anche lanciarazzi AT-4 di produzione svedese.

Leggermente diversa è la situazione interna della Finlandia, a partire dalla più ridotta comunità curda presente nel Paese, stimata in circa 15mila persone. Più che una struttura d’accoglienza che tenga conto della presenza curda nel Paese, Helsinki si contraddistingue per gli stretti rapporti con le milizie Ypg/Ypj anche dopo la fine della missione occidentale nel nord-est siriano. Diversi esponenti dell’attuale governo e di quello precedente, a partire dall’attuale ministro degli Esteri, Pekka Haavisto, e dall’ex primo ministro, Antti Rinne, negli anni passati hanno più volte condannato le azioni militari turche in territorio siriano contro le formazioni curde schierate a protezione dei propri territori. Condanne alle quali seguì anche lo stop alle autorizzazioni per l’export di armi verso la Turchia.

Le antipatie di Ankara verso i due Paesi scandinavi vanno anche oltre l’appoggio alle milizie curdo-siriane. Anche se né Erdoğan né il ministro degli Esteri Cavusoglu lo hanno detto esplicitamente, il governo turco è molto critico nei loro confronti anche per l’accoglienza riservata dai due Stati europei ai membri del Movimento Gülen, l’organizzazione legata all predicatore Fethullah Gülen, ex alleato del presidente turco e ora suo principale oppositore, che Ankara ritiene l’organizzatore del fallito colpo di Stato del 2016 e i cui membri vengono perseguitati e arrestati in patria con l’accusa di terrorismo.

Twitter: @GianniRosini

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