Da gennaio ad oggi la Russia ha incassato 20 miliardi di dollari al mese per la vendita di solo petrolio. Il 50% in più di un anno fa grazie ad un incremento del costo del barile più o meno analogo. Lo stesso, probabilmente, è accaduto per quanto riguarda il gas i cui prezzi sul mercato europeo sono addirittura moltiplicati per quattro rispetto ai valori abituali. E’ vero che alcuni contratti sono a lungo termine, quindi con prezzi predefiniti, ma nel complesso le condizioni di mercato sono molto favorevoli a chi vende. D’altronde, per ora, non si sono registrate significative riduzioni delle esportazioni di idrocarburi russi. L’invasione dell’Ucraina ha spinto ulteriormente al rialzo le quotazioni, in qualche misura la guerra di Putin sembra auto-finanziarsi. Ogni giorno Mosca incassa in media quasi un miliardo di euro dai paesi europei. Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada hanno deciso lo stop all’import di petrolio russo. Ma i tre paesi usano poco greggio proveniente da Mosca, il Canada neppure un barile. Per contro l’Unione europea fatica a trovare un accordo che avvii un embargo progressivo. L’Ungheria si oppone apertamente ma qualche malumore, meno esplicito, sull’ipotesi si leva da numerose cancellerie. La soluzione non appare vicina e la questione, spiegano fonti Ue, “è complessa”.

Ancora più complicato sarebbe decidere uno stop agli acquisti di gas, il fossile da cui l’Europa è più dipendente e di cui è più difficile approntare rifornimenti alternativi che hanno comunque un costo sensibilmente più alto. Una cinquantina di paesi nel mondo continuano a comprare petrolio e prodotti raffinati russi, pagando oltre 120 miliardi di dollari l’anno. I primi clienti sono Cina (33 miliardi di dollari), Olanda (21 miliardi), Germania (8,5 miliardi), Polonia (6,4 miliardi) e Italia (6 miliardi). Gli incassi del gas si fermavano, prima dei rialzi attuali, a una ventina di miliardi di dollari l’anno, con l’Italia in testa alla lista del valore degli acquisti.

Secondo l’agenzia Bloomberg il gruppo Eni si prepara ad aderire al meccanismo di pagamento chiesto da Gazprom che prevede l’apertura di due conti in Russia e la conversione in rubli delle somme versate in euro o dollari. Cambio che viene materialmente effettuato da Gazprombank e dalla banca centrale russa. Qui si pone una questione di forma e sostanza. Formalmente il pagamento non avviene in rubli e “fa salva” la faccia delle sanzioni. Ma in questo modo Mosca mette le mani direttamente su valuta estera che così non può essere congelata su conti esteri. Del resto la richiesta che sottintende Bruxelles appare oggettivamente curiosa. La Russia dovrebbe continuare a vendere gas e accettare pagamenti che però poi rischierebbero di essere congelati. Bruxelles non riesce a fare chiarezza su questi punto nonostante ripetute richieste in tal senso.

Le stesse dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi sono parse ambigue e contraddittorie. Nel suo recente viaggio negli Stati Uniti ha detto che il meccanismo di pagamento proposto da Gazprom non viola le sanzioni europee. In passato aveva detto il contrario e il rischio di aggiramento delle sanzione era stato evidenziato anche dal fidato consulente economico Francesco Giavazzi. La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen sostiene a sua volta che il sistema cozzi con le sanzioni. Tuttavia va detto che le aziende europee continuano ad attendere indicazioni puntuali da Bruxelles. “Non c’è una dichiarazione ufficiale su cosa significhi violare le sanzioni”, ha detto Draghi ai giornalisti a Washington. “Nessuno ha mai detto nulla sul fatto che i pagamenti in rubli violino le sanzioni”.

Al momento sembra insomma che la “guerra dell’energia” la stia vincendo Mosca e anche nettamente. Il rublo ha recuperato tutti i cali che aveva accumulato nelle settimane immediatamente successive all’invasione. Tuttavia gli equilibri potrebbero cambiare nel tempo, se davvero venisse mantenuta salda la volontà di staccarsi da Mosca. Organizzare il taglio del cordone ombelicale energetico è complicato e richiede tempo. Lentamente qualcosa si muove e la tendenza potrebbe accelerare. Si cercano altri fornitori, si progettano infrastrutture. E auspicabilmente si spinge sulle rinnovabili. Lo stesso rapporto dell’ Agenzia internazionale dell’energia che ha certificato l’aumento degli incassi della Russia, sottolinea anche come nelle ultime settimane si sia registrata un’inversione di rotta. “La nostra previsione è che, se la situazione non cambierà drasticamente nei prossimi mesi, saremo in grado di completare i nostri stoccaggi di gas (al momento al 42% delle capacità di riempimento, ndr) e saremo in grado di essere indipendenti(dalla Russia nella seconda metà del 2024″, ha detto oggi il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.

D’altro canto neppure il Cremlino sta a guardare, a sua volta cerca altri clienti che non mancano, soprattutto se il petrolio e il gas vengono venduti a sconto. India, Cina, Corea del Sud hanno aumentato i loro acquisti di carichi russi. Non sarebbero in grado di compensare appieno uno stop improvviso dell’import europeo ma anche in questo caso i cambiamenti hanno bisogno di tempo. L’Opec, l’organizzazione che riunisce la maggior parte dei più grandi produttori di greggio ha sinora respinto le richieste occidentali di aumentare la produzione per calmierare i prezzi e compensare eventuali diminuzioni dei flussi russi. Lunedì scorso il re saudita Salman si è congratulato con Putin per le celebrazioni del giorno della vittoria che si sono svolte a Mosca per ricordare la vittoria sulla Germania nazista.

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