Nel disegno di legge appalti torna l’obbligo secco, non più quindi alternativo alla mera “facoltà”, di inserire nei bandi di gara specifiche clausole sociali. Grazie all’emendamento approvato dalla commissione Ambiente della Camera, che modifica il testo varato dal Senato, non sarà quindi più una scelta quella di inserire formule a tutela di chi dovrà garantire i servizi al centro dei bandi, ad esempio i lavoratori delle pulizie, delle mense, della guardiania, per far rispettare standard che oggi, come hanno sottolineato più volte Pd e Leu nell’esame in commissione, gli stessi sindacati faticano a fare osservare anche in casi di appalti con committenti pubblici.

Nella delega si prevede che con le clausole sociali possono essere indicati, “come requisiti necessari o premiali dell’offerta”, una lunga serie di criteri orientati, fra l’altro, a promuovere la stabilità occupazionale, a garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, a incentivare le pari opportunità generazionali e di genere nonché l’inclusione lavorativa dei disabili, la promozione del ricorso a forniture da Paesi terzi in quantità non maggioritaria rispetto al valore totale dei prodotti.

I sindacati avevano avvertito che l’eliminazione dell’obbligo d’inserimento della clausola sociale avrebbe lasciato una decisione così importante alla volontà delle stazioni appaltanti che, dunque, avrebbero potuto stabilire in autonomia se inserire o meno questo strumento di tutela occupazionale. Il che avrebbe comportato, secondo Cgil, Cisl e Uil, “un pericoloso arretramento in termini di tutela dei lavoratori”.

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