“Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo”. Sono le parole che si leggono sulla tomba di Maria Montessori a Noordwijk, nei Paesi Bassi, dove il 6 maggio del 1952 morì lasciando in eredità a tutto il mondo un modello di scuola e di pedagogia che non è mai stato dimenticato. Sono passati settant’anni dall’addio della Montessori ma quel volto tra il dolce e l’austero, nobile e semplice, è rimasto nel cuore di tutti gli italiani e soprattutto di chi lavora nel mondo dell’educazione.

Chi è nato nel Novecento non può certo scordare le mille lire (stampate tra il 1990 e il 1998) con il volto della dottoressa e il verso con un particolare del dipinto Bambini allo studio di Armando Spadini del 1918. La vita di questa donna non poteva passare inosservata e ancora oggi non lo è. Non è invece (purtroppo) diventato patrimonio dell’istruzione pubblica il suo metodo. Proprio qualche giorno fa un amico clochard, vedendo nella mia libreria alcuni testi dedicati alla Montessori, mi ha detto: “Pensa un po’. Lei ha fatto nascere una scuola per i più poveri e oggi a frequentare le sezioni che adottano la sua pedagogia sono i ricchi”. Non è sempre così, per fortuna, ma la frase dell’amico rende bene l’idea di come l’insegnamento della Montessori non sia diventato comune denominatore della scuola pubblica. Anzi per molto tempo è stato destinato a una élite di famiglie.

A settant’anni dalla sua scomparsa è arrivato il momento di aprire una riflessione (speriamo lo faccia il ministero dell’Istruzione) sulla pedagogia montessoriana e sulla necessità della sua diffusione nella scuola pubblica italiana. Le caratteristiche della lezione montessoriana sono oggi più che mai attuali. Nella “Casa dei bambini” (la prima scuola fondata dalla dottoressa nel quartiere San Lorenzo di Roma) gli alunni, a differenza delle aule tradizionali, si muovono liberamente e scelgono le attività da svolgere. La proposta della Montessori si basa su tre pilastri: la posizione dell’educatore; l’ambiente e il materiale a disposizione dei bambini.

Nelle aule, l’insegnante deve intervenire solo quando è necessario: è il bambino protagonista dell’apprendimento; il maestro è solo un accompagnatore, una persona al suo fianco. La sezione ma anche l’intera scuola dev’essere considerata una casa: indimenticabili i fiori sui banchi della mensa. Così come l’alunno deve avere del materiale con il quale formulare ipotesi, verificarle, sviluppare i suoi ragionamenti.

Non solo. Torniamo alle parole iniziali, al richiamo alla pace che c’è sulla sua tomba. Maria Montessori diceva che “il bambino è costruttore dell’uomo e non esiste uomo che non sia stato formato dal bambino che è stato”. Per lei l’educazione alla pace era importante quanto l’istruzione accademica, se non di più. Un richiamo al quale, nel nostro contesto storico, dobbiamo obbligatoriamente tornare con urgenza prima che sia troppo tardi.

Un’ultima nota non da poco: la dottoressa (è stata la terza donna italiana a laurearsi in medicina, con la specializzazione in neuropsichiatria) è stata una viaggiatrice. E’ stata in Olanda, negli Stati Uniti, in Francia, in Inghilterra, in Belgio, in India. Un messaggio ben chiaro a chi insegna: viaggiare è necessario, apre la mente, permette il confronto, aiuta a migliorare e a immaginare (oltre che realizzare) una scuola nuova.

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