La guerra prosegue da ormai 70 giorni, seguita a ruota da interpretazioni geopolitiche, economiche e sociologiche, espresse da persone diverse per titoli accademici e provenienza geografica. Stanchi di dover demistificare versioni sul conflitto traballanti a cui i media hanno dato recentemente spazio, tre ricercatori hanno deciso di passare dalle parole ai fatti: se, insieme a loro, nel salotto televisivo di turno saranno presenti anche ‘propagandisti russi’, declineranno l’invito.

Ad annunciare questa nuova strategia, improntata sul modello della disobbedienza civile e finalizzata a ridare lustro alla competenza, è stato Andrea Gilli, docente al Defence College, l’università della Nato. “Io, Nona Mikelidze e Nathalie Tocci non saremo in tv. Ci hanno invitato ma abbiamo declinato”, ha scritto su Twitter il professore, prima della puntata di DiMartedì di ieri, 3 maggio. “Il problema è Nadana Fridrikson – ha spiegato Gilli – ‘giornalista’ della tv del ministero della Difesa russo“. Disertare è dunque l’estremo rimedio a un male, altrettanto esagerato, che il docente descrive senza mezzi termini: “Ci si può confrontare sulle opinioni, sulle interpretazioni e sulle soluzioni: non con chi diffonde dati falsi preparati direttamente dall’ufficio propaganda del Cremlino. È anche una questione di rispetto verso giornalisti, ricercatori e docenti russi che rischiano il carcere per semplice dissenso”.

Da parte sua, Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma, affida alle pagine della Stampa le motivazioni dello sciopero. “Stiamo scivolando verso una deriva pericolosa, che conduce dritto alla disinformazione – osserva la direttrice nel suo articolo – mettere sullo stesso piano il vero e il falso insinua il dubbio nel vero e il falso nel vero”. Tocci è dell’idea che dietro le scelte degli ospiti non si nasconda tanto lo share, o altre ragioni riconducibili all’offerta televisiva, quanto piuttosto “il lento lavoro di influenza della Russia“. “C’è qualcosa di bizzarro nel fatto che tutto d’un tratto siano emersi ‘esperti‘, come Orsini, mai visti né sentiti prima”, ha concluso l’analista, che con il sociologo del terrorismo si è scontrata più di una volta.

Nona Mikelidze, ricercatrice georgiana allo Iai – terza e ultima dei ricercatori obiettori – si unisce al coro e contesta la diceria secondo cui i media italiani siano sottomessi al mainstream occidentale: “Se guardi la tv ti accorgi che ci vanno soprattutto quelli che dicono: ‘È vero, Putin è un aggressore, ma…’ e quel ‘ma’ serve per propinare la visione del Cremlino“. “A me è capitato tante volte – ha continuato Mikelidze – anche a causa dei ritmi televisivi, non si riesce mai ad approfondire, tutto resta in superficie. Specie con i propagandisti, tu devi fare il fact checker. Danno notizie false, citano eventi inesistenti e io, anziché dire ciò che penso, passo il tempo a smontare i fake che ho sentito e poi non resta spazio per affrontare le problematiche della guerra, discutere delle soluzioni”. “Per il pubblico che non ha dimestichezza con la politica dell’Est, la mia risulta una opinione come un’altra“, ha terminato la ricercatrice.

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