Giorgio de Finis, antropologo, artista e curatore indipendente, è considerato simultaneamente una sciagura e una risorsa per la scena culturale italiana. Una sciagura lo considerarono coloro che si ritrovarono ai vertici della Cultura quando nel 2017, dopo aver ideato a Roma il “MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz – città meticcia” fondato nell’ex salumificio Fiorucci e occupato da migranti di etnie diverse, de Finis approdò in Via Nizza alla direzione artistica del “MACRO, Museo di Arte Contemporanea di Roma”.

Fu chiamato – in un sussulto di coraggio e lungimiranza – da Luca Bergamo, vicesindaco della giunta Raggi, per essere però subissato subito dopo da centinaia di comunicazioni e articoli (che de Finis argutamente ha raccolto in un volume curato con Claudia Pecoraro dal titolo Macro Asilo Pro & Contro per Bordeaux Edizioni) attraverso i quali i salotti romani allora vollero esprimere disapprovazione. Fino a chiedere per de Finis l’allontanamento anticipato che avverrà puntualmente nel 2019, pare senza neppure un preavviso di cortesia da parte dall’ex coraggioso Bergamo.

Eppure Roma e la politica, a de Finis, tetragono e instancabile inventore di dispositivi museali, palombaro della parola e del linguaggio, devono molto. Per quindici mesi, grazie al MACRO Asilo – privo delle sontuose sovvenzioni riservate invece all’adiacente replicante museo MAXXI delle eterne e blindate presidenze, direzioni e curatele – Roma ha vissuto una dimensione internazionale, ha avuto la sua Kunsthalle e il suo Matadero.

Sciagura e risorsa dunque. De Finis non si è limitato a valorizzare i giovani talenti in campo artistico e a battersi per un’arte trasgressiva, mai ipocrita, che abbia libertà assoluta, anche quando inadeguata e contro il sistema operante. Ha scardinato il concetto stesso di museo aprendo i suoi spazi alle proposte di artisti, curatori e ricercatori provenienti dalle diverse discipline. Non solo ha avviato un dialogo con la città partecipativo, gratuito e pubblico; è riuscito persino a forzare il guscio autoreferenziale del museo MACRO realizzato dall’archistar Odile Decq, trasformandolo in una piazza attraversabile e pulsante, ripensando gli stessi spazi del museo e affidando il progetto di allestimento all’architetto Carmelo Baglivo.

E’ de Finis, senza alcun dubbio, il capitolo più anticonformista e coraggioso dell’opaca e ingrigita vita culturale di Roma, fatta soprattutto di provincialismo, rendite di posizione e promesse mancate. Prima degli altri ha capito che il museo è un’imperdibile occasione per il recupero e la riqualificazione delle periferie. Dopo il “DIF, Museo Diffuso di Formello”, l’ultima sua invenzione è il “RIF, Museo delle Periferie” con il quale, nella faticosa realtà romana di Tor Bella Monaca, ha dato corpo e sostanza al fragile e ormai stinto schema teorico del rammendo delle periferie annunciato da Renzo Piano, trovando finalmente una sede definitiva nella realizzazione del progetto di Orazio Carpenzano.

Le riflessioni e le provocazioni di de Finis, i suoi progetti museografici, il frutto delle sue collaborazioni con gli artisti e gli architetti, i suoi numerosi libri, i cataloghi sono sempre stati un segno di novità e trasformazione. Tutto questo ora si trova esposto presso “Embrice Galleria di Ricerca“, diretta da Carlo Severati. A partire da venerdì 22 aprile, per due settimane, ospita l’iniziativa “IMUSEUM” con l’obiettivo di ripensare insieme il museo del XXI secolo, ma anche di inventarne uno attraverso un ciclo di incontri e laboratori – con la presenza di Giorgio de Finis nella Galleria Embrice e in collaborazione con Museo delle periferie, Moby Dick Biblioteca Hub Culturale e Millepiani coworking.

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