di Roberto Iannuzzi *

La lettura del conflitto ucraino che i leader occidentali offrono alle rispettive opinioni pubbliche è la seguente: per contrastare un’aggressione gratuita e non provocata, è necessario armare gli ucraini e imporre dure sanzioni a Mosca per obbligare il Cremlino a un ritiro incondizionato. Quella di Mosca viene dipinta come una brutale guerra di conquista, e la resistenza ucraina come una battaglia per la libertà e per difendere l’Europa dall’espansionismo russo.

Visto che in ogni conflitto è bene conoscere le motivazioni dell’avversario, sarà utile ricordare che per la Russia questa è invece una guerra difensiva contro l’espansionismo della Nato e l’aggressione americana, che ha trasformato l’Ucraina da stato fratello a paese ostile, una vera e propria arma puntata contro Mosca. Alla luce della durissima reazione occidentale, poi, questa guerra difensiva è divenuta per il Cremlino, ma anche per la maggioranza dell’opinione pubblica russa, una vera e propria battaglia esistenziale per la sopravvivenza della nazione.

Colmare il divario fra due visioni così antitetiche può apparire impossibile. Tuttavia è vitale cercare una soluzione negoziata dello scontro, poiché un suo inasprimento può portare conseguenze imprevedibili, economiche e militari. In altre parole, questo conflitto è in grado di minacciare la prosperità e la pace in Europa, e la stabilità mondiale.

In primo luogo perché vede una contrapposizione tra forze nucleari (la Russia e la Nato). E poi perché si verifica in un contesto di estrema fragilità dell’ordine internazionale, caratterizzato da: 1) una superpotenza declinante, gli Stati Uniti, impegnata in una serrata competizione con l’ascendente potenza cinese; 2) il moltiplicarsi di focolai di crisi a livello planetario; 3) un deterioramento delle strutture della globalizzazione, addirittura antecedente alla crisi del Covid-19.

L’impressione è che questi rischi siano molto sottovalutati in Europa. La narrazione occidentale ha rimosso le ragioni storiche che hanno determinato l’invasione russa, ingigantisce la minaccia rappresentata da Mosca, mentre sminuisce quella che il fronte occidentale rappresenta per quest’ultima. Una lettura erronea dei dati che caratterizzano un conflitto può però portare a decisioni fatali.

Innanzitutto andrebbe ricordato che l’Ucraina è da sempre un paese conteso, in cui la Cia fu impegnata fin dagli anni 50 del secolo scorso in azioni di destabilizzazione in chiave antisovietica. Dopo la fine della Guerra fredda, gli Usa, oltre a perseguire una politica di espansione della Nato, hanno incessantemente cercato di alterare a proprio vantaggio gli equilibri di deterrenza nucleare. Per Zbigniew Brzezinski, fra i massimi strateghi della politica estera americana, la ridefinizione dell’Ucraina come stato integrato nell’Europa centrale rappresentava una componente chiave della strategia statunitense verso il continente eurasiatico.

La rivoluzione arancione del 2004 e quella di Maidan nel 2014, entrambe sostenute da Washington, hanno insediato a Kiev governi non particolarmente democratici, ma invariabilmente anti-russi. Anche recentemente, gli Usa hanno continuato a concepire piani di destabilizzazione della Russia.

Le richieste negoziali di Mosca, incentrate sulla neutralità dell’Ucraina, sono state essenzialmente rifiutate dagli americani e dallo stesso presidente ucraino Zelensky. Per tragica ironia, se Kiev avesse accettato uno status neutrale, avrebbe evitato l’attuale devastazione del paese oltre a garantire la sua integrità territoriale molto più facilmente di quanto potrà fare adesso.

L’obiettivo dell’invasione russa, peraltro, non è mai stato la conquista dell’intera Ucraina, ma la sua “smilitarizzazione” accompagnata dalla creazione di una zona cuscinetto comprendente il Donbass e aree costiere del paese. Questo perché, come riconosce la stessa Rand (influente think tank statunitense), l’esercito di Mosca è strutturato per avere una capacità di proiezione non superiore a poche centinaia di chilometri dal confine russo (con buona pace di coloro che paventano una riedizione della conquista hitleriana dell’Europa).

Oltretutto i russi, coscienti dei propri limiti, non vogliono accollarsi la parte del paese che gli è più ostile. Si illude quindi chi ritiene che Mosca stia perdendo. Intanto perché i russi hanno ancora ingenti risorse da impiegare, e secondariamente perché il Cremlino non può permettersi di perdere questa guerra. La decisione americana di puntare al collasso dell’economia russa, e il diretto coinvolgimento occidentale a fianco di Kiev a livello di intelligence, logistica e armi (con l’unica eccezione del dispiegamento di forze sul terreno), hanno trasformato la crisi in uno scontro diretto Russia-Nato, e perciò in una battaglia esistenziale per Mosca.

Una destabilizzazione della Russia, peraltro, non è auspicabile poiché aggiungerebbe una variante imprevedibile all’enorme peso che già grava sull’Europa a causa di sanzioni terribilmente autolesioniste. Inoltre, Pechino non volterà le spalle a Mosca, perché è consapevole di essere il prossimo bersaglio di Washington se la Russia dovesse cadere.

Le possibilità che il conflitto sfugga di mano sono dunque concrete. Ma anche se esso rimanesse confinato all’Ucraina, siccome il Cremlino continuerà ad investirvi risorse militari, insistere ad armare Kiev porterà semplicemente alla distruzione del paese. E’ urgente un negoziato, il quale inevitabilmente ruoterà attorno alla neutralità di una nazione che non può pienamente appartenere a nessuno dei due fronti contrapposti. E l’Europa dovrebbe ricercare tale negoziato ora (anche a costo di frizioni con Washington), non dopo aver raggiunto sul terreno obiettivi che appaiono velleitari.

* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
Twitter: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/

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