“Dall’elicottero mi sembrava un bambolotto posato sul ghiaccio. Quando sono sceso ho capito che era un bambino. Piccolissimo. Non si muoveva, non parlava, non dava segni di vita. Ho pensato che fosse morto. L’ho legato e portato a riva…”. Emerge incredulità e sconcerto dalle parole di Franz Gruber, l’infermiere, intervistato dal Corriere, che ha salvato la famiglia caduta lunedì, 18 aprile, nelle acque gelide del lago di Braies. Uno sconosciuto per la stragrande maggioranza degli italiani, se non fosse per il video virale in cui lo si vede intento a soccorrere la madre del bambino di quattro mesi.

Gruber, membro del team partito da Bressanone non appena è stato lanciato l’allarme, ha trent’anni di esperienza alle spalle tra le vette delle Dolomiti. Fra le tante imprese, quella accaduta nella zona di Bolzano è stata la più ardua. “Un intervento del genere non mi era ancora capitato, così complicato, così a rischio”, ha raccontato nel corso dell’intervista.

Un’esperienza che lo ha segnato, nella mente e nel corpo. Ricorda di aver avuto “un problema alle dita che si sono assiderate. Ma sono abituato a queste cose”. A distanza di 48 ore dall’incidente, è consapevole che senza il lavoro di squadra le cose sarebbero andate in modo diverso. “Penso che quelle persone sarebbero morte. Per come li ho visti non potevano resistere un solo minuto in più. Ma ora sono vivi e noi siamo felici”.

Eppure Gruber, appena arrivato sul posto, avevano capito che il salvataggio sarebbe stato difficoltoso: “Io mi sono attaccato al verricello e sono sceso di 10-15 metri. Ho preso subito il bambino per spostarlo sulla sponda. Poi siamo tornati dagli altri. Prima la madre. Era stremata, si capiva che stava per cedere. Ho cercato di tirarla fuori per appoggiarla sul ghiaccio ma il ghiaccio non teneva e allora ho cambiato sistema. Sono entrato nell’acqua e le ho messo una corda intorno al corpo per agganciarla, mentre Alberto mi abbassava e mi alzava per non stare troppo sotto. Poi ci ha alzati un po’ di più e siamo andati a riva. Abbiamo strisciato con i piedi sul ghiaccio, l’unico modo per fare presto”. L’infermiere spiega al giornale di via Solferino di aver adottato la stessa strategia per il padre e per il ragazzo albanese che si era tuffato per prestare soccorso.

La madre, prosegue Gruber, “ha capito cos’ era successo solo al pronto soccorso. Quando ha visto che non c’era il bambino ha urlato disperata”, racconta, “lui era sotto choc e tremava tutto. Non ha detto mai una parola ma si capiva dagli occhi che sentiva di aver fatto una sciocchezza”. Entrambi sono stati segnalati alla Procura dagli investigatori. Camminare sul lago in aprile, chiude l’infermiere, è pericoloso: “Mi sembra ci voglia poco a capire che non si può fare quando il ghiaccio è sottile”.

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