Dopo gli Usa e il Regno Unito l’Italia pare distinguersi per compattezza belligerante. Finalmente siamo i primi della classe a rispondere “signor sì”! Nessun dubbio nell’entrare surrettiziamente in guerra, anche se non dichiarata formalmente, inviando aiuti militari, imponendo sanzioni e progettando ulteriori e sempre più rilevanti interventi. Espelliamo i diplomatici, non appena ce lo chiede la Nato, siamo i più intransigenti nel prospettare la chiusura dell’importazione di gas che recherebbe un danno enorme al nostro tessuto produttivo. Se guardiamo i giornali e le televisioni i commentatori sono schierati oltre il 90 per cento per demonizzare il nemico.

Ogni ucraino che spara è un eroe, mentre un suo pari età russo se spara lo fa colpendo un bambino perché è certamente cattivo. Un video con un drone che uccide un russo viene proposto come un trofeo su internet, come se quel soldato non fosse umano. La strategia di nascondersi dietro agli “scudi umani” che in Iraq veniva definita criminale, perché provocava la morte di civili, viene glorificata, inneggiando a una signora che prepara una molotov. Fra i partiti principali, sia al governo che all’opposizione, è un rincorrersi di prese di posizione belligeranti, con una fedeltà atlantica incrollabile verso la sicura vittoria. Dubbi non possono essere esternati e se qualcuno osa esprimersi in modo problematico è sicuramente un traditore.

La figura emblematica della nostra politica estera in passato era Andreotti con la sua melliflua capacità di essere un poco di qua e un poco di là. La sua eredità pare scomparsa. Mi sono chiesto come mai si sia creato questo clima che stride con la duttilità, le ambiguità e le capacità diplomatiche tipicamente riconosciute per decenni all’Italia? Credo si possa parlare di “sindrome del post tradimento”. Un marito o una moglie che in passato hanno tradito il partner, se scoperti e perdonati, saranno negli anni super dediti al compagno per far dimenticare l’episodio negativo.

Nella mia attività professionale mi è capitato varie volte di vedere questa ossequiosità ostentata e quasi eccessiva che serve a riparare: “Sì, ti ho tradito, ma ora sono concentrato ad assecondare ogni tuo desiderio”. A livello di nazione pare che l’Italia debba farsi perdonare i tradimenti della prima e seconda guerra mondiale in cui abbiamo inizialmente fatto patti con alcuni alleati per finirla con altri. Questo essere “più realisti del re” nell’ostentare assoluta fedeltà atlantica, uniformandoci ai desideri degli alleati Nato, quasi prevenendo ogni possibile dubbio, mi pare un modo per far dimenticare il nostro passato da inetti in guerra e furbastri e doppiogiochisti nelle alleanze. Vogliamo sfatare l’immagine dell’italiano medio emersa nei film in cui Sordi e Gassman (La grande guerra, 1959) interpretavano soldati che non vedevano l’ora di scappare, per poi redimersi solo con la propria umanità.

Anche fra i giornalisti pare sparito, nei più, la ricerca dei fatti raccontati super partes, per fare propaganda a buon mercato. Spesso si tratta di una vera e propria abdicazione al ruolo professionale del cronista che deve riferire i fatti, riscontrarli, approfondirli e poi, eventualmente, commentarli. Per i media e i poteri politici, che si sentono inconsciamente eredi di una nazione che ha tradito, questa pare l’occasione per il riscatto e per l’affermazione della nostra imperitura fedeltà alla Nato e soprattutto agli Usa.

Esiste un problema evidenziato dai sondaggi sull’opinione pubblica. Per il momento nelle elezioni sul territorio europeo l’idea della pace e della non belligeranza con la Russia, nazione con 5000 testate nucleari, ha vinto due a zero. Si tratta di due nazioni, l’Ungheria e la Serbia, già governate dagli attuali primi ministri, per cui non si può parlare di trend ma i sondaggi francesi, nazione fondamentale per l’Europa, richiedono una riflessione. La vittoria della Le Pen, a detta di tutti i commentatori, sarebbe una forma di trofeo per la Russia, in quanto portabandiera di un’idea nazionalista ripiegata sugli interessi nazionali. L’idea della non belligeranza, definita non pacifismo ma “panciafichismo” dai nostri commentatori sembra attraversare i popoli che, dopo essere morti per Danzica, non vogliono morire per Kiev.

Il termine “panciafichismo”, coniato per le persone contrarie all’intervento durante la prima guerra mondiale, sta ad indicare un’attenzione al proprio benessere (il condizionatore acceso), alla propria sicurezza alimentare (da qui la pancia che mangia i fichi) e agli interessi nazionali. Anche in altri paesi europei, man mano che si vedranno gli effetti delle sanzioni sul popolo che perde il lavoro, sulle industrie che chiudono per mancanza di energia, con difficoltà a pagare le bollette, potrebbe nascere prepotente il partito definibile: “Francia o Spagna purché se magna” (Guicciardini, intorno al 1500). Fra circa un anno nelle elezioni in Italia, se ci sarà ancora la guerra, partiti di destra o sinistra, portatori di questa ideologia, potrebbero avere grande successo, confermando la nostra propensione a cambiare bandiera durante un conflitto.

Nel caso saremmo dei traditori? O invece dei resilienti (termine molto in voga) che di fronte alla voglia di terza guerra mondiale, manifestata dagli anglosassoni, sanno quando è il momento di sfilarsi ricordando che la Nato è una alleanza difensiva e non è nata per fare la guerra?

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