L’Ungheria non cambia: Viktor Orban vince ancora. E lui, che stavolta si era proposto come “uomo della pace”, spingendo sulla paura del conflitto ucraino, esulta: “E’ una vittoria così grande che si vede dalla Luna e di certo da Bruxelles“, alludendo alle forti tensioni con i vertici dell’Ue. “Prima l’Ungheria!“. Ad oltre il 70% dello scrutinio, il premier uscente sovranista è risultato in netto vantaggio, con la coalizione composta dal partito di governo Fidesz e dai cristiano-democratici di Kdnp, premiata dal 54,6% delle preferenze, che si tradurrebbero in 134 seggi, su un totale di 199. L’opposizione dell’ultracattolico europeista Peter Marki-Zay, che aveva radunato tutti gli altri partiti in un’alleanza, si ferma al 33,6% con soli 58 seggi. “In questo sistema ingiusto e disonesto non potevamo fare di più”, ha commentato lo sconfitto. “Abbiamo provato con tutte le nostre forze, ma non siamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo”, ha aggiunto, dando la colpa alla forza della propaganda governativa che ha segnato la campagna elettorale. Anche l’estrema destra ha avuto un buon risultato, con il 6,4% e 7 seggi.

In uno dei voti più importanti nella storia del paese, con il premier Orban in corsa per il quarto mandato consecutivo, l’affluenza alle urne si è attestata al 67,8%, in leggero calo rispetto a quattro anni fa. E lui, il capo di Fidesz, non ha perso l’occasione di sottolineare che dalle urne esce anche “un chiaro segnale a Bruxelles“. “Questa nostra quarta vittoria consecutiva è la più importante, perché abbiamo conquistato il potere contro un’opposizione che si era alleata. Si sono alleati tutti e noi abbiamo vinto lo stesso. Abbiamo vinto anche a livello internazionale contro il globalismo. Contro Soros. Contro i media mainstream europei. E anche contro il presidente ucrainoVolodymyr Zelensky, che nella notte di sabato si è rivolto nuovamente ad Orbán, “unico in Europa a sostenere apertamente Putin”. “Questa non è la nostra guerra, dobbiamo restarne fuori”, aveva detto Orban nell’ultimo comizio, confermando di voler rimanere neutrale e mantenere gli stretti legami economici con Mosca, continuando a importare gas e petrolio russi.

Il primo ministro che promuove da anni la democrazia illiberale, e che ha un contenzioso con l’Europa sullo stato di diritto, per aver limitato la libertà di stampa e della magistratura, nelle ultime settimane aveva puntato sulla paura della guerra, arrivando a rompere la compattezza dei Visegrad. È stato infatti l’unico a negare la consegna di armi a Kiev, e ad assicurare in tutti i modi che Budapest si terrà fuori dal conflitto con Mosca. Ma tra gli elettori la propaganda filo governativa ha fatto serpeggiare che l’opposizione volesse trascinare l’Ungheria in guerra, autorizzando il passaggio di armi dirette all’Ucraina.

Il premier, che di buon mattino si era recato a votare con la moglie Aniko Levai in una scuola alla periferia di Budapest, aveva pronosticato una “grande vittoria”, ma dalle parole rilasciate alla stampa filtrava un certo nervosismo. Per la prima volta Orbán si è sentito tallonato da un’opposizione che si è presentata in un’unica coalizione, ‘Uniti per l’Ungheria’. Un cartello elettorale che ha riunito sei partiti di diverso orientamento politico, guidato da Marki-Zay.

Sul voto c’è l’ombra dei brogli. L’ong Hungarian Civil Liberties Union ha segnalato irregolarità: a Hortobagy, cittadina dell’Ungheria orientale, il governo locale, secondo gli attivisti, avrebbe organizzato autobus per portare la gente a votare. Accuse che si aggiungono ai sospetti denunciati nei giorni scorsi da diversi giornalisti che hanno rinvenuto delle schede elettorali bruciate in Romania, in una regione abitata dalla minoranza ungherese. Non è un caso che l’Osce abbia mandato – per la prima volta in un paese dell’Ue – 200 osservatori per monitorare il corretto svolgimento del voto.

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