Le bare di Bergamo, i selfie che inondarono i social e i giornali delle prime vaccinazioni e il linguaggio bellico: guerra al virus, in trincea contro il virus… Francesca Capelli, sociologa, giornalista e scrittrice nata a Bologna, ha osservato la pandemia – e soprattutto il “linguaggio della pandemia” – dall’Argentina dove vive insegnando. E Giulio Milani, editore della (piccola, ma gloriosa e combattiva) casa editrice Transeuropa di Massa Carrara, leggendo le osservazioni – sempre acute, spesso intrise di umorismo – della Capelli sulla sua pagina Facebook le ha chiesto di scriverci un libro. Che è approdato in libreria: Wargasms – Orgasmi di guerra.

Ecco un breve estratto dalla prime pagine:

“Siamo in guerra”. Fin da marzo 2020 la comunicazione sulla pandemia si è basata sulla metafora bellica… Nei titoli di giornale delle settimane del primo lockdown le parole ricorrenti erano guerra, combattere, eroi, ma soprattutto trincea. “In trincea contro il virus, ecco gli eroi silenziosi che combattono contro il contagio e la paura” (Secolo XIX, 6 marzo 2020); “Negli ospedali siamo in guerra” (Corsera, 9 marzo); “Coronavirus, rianimatori in trincea: ‘Se va avanti così sarà di difficile curare tutti’” (La Stampa, 21 marzo); “Medici disarmati in trincea, così diffondiamo il virus” (La Stampa, 22 marzo); “Lo specializzando: in trincea contro il virus per aiutare la mia città” (La Repubblica, 22 marzo); “Brescia in trincea contro il virus, aperto un nuovo reparto da 180 posti” (Tg la7, 4 aprile); “Coronavirus, farmacisti in trincea: ‘Anche noi esausti ma non possiamo abbassare la guardia’” (La Stampa, 6 aprile); “Gli specializzandi in trincea contro il virus: ‘Non chiamateci eroi, la paura diventa coraggio e amore’” (Cesena Today, 24 aprile); “Due mesi in trincea contro il virus” (Il Giorno, 6 maggio); “Io, medico e mamma nella doppia trincea contro il Covid” (Corsera, 13 maggio); “Miriam, per tre mesi in trincea contro il virus” (Il Centro, 1 giugno).

“Questo libro – spiega Francesca Capelli – è il risultato di due anni di lavoro, anche se non pensavo di raccogliere le mie osservazioni in modo sistematico. Poi Giulio Milani, editore di Transeuropa, mi ha chiesto di farne un libro. È stato allora che mi sono accorta che il libro, di fatto, era già scritto in una traiettoria che inizia, simbolicamente, con le ormai famigerate bare di Bergamo e trova la sua continuità – a livello di apparato comunicativo – nella guerra in Ucraina. Stesso linguaggio, stessa polarizzazione, stesso apparato metaforico e retorico, stesso uso strumentale della paura per installare un regime morale basato sul sacrificio, stessa produzione di dispositivi disciplinatori ai fini di trasformare i diritti in concessioni da usare per premiare o punire i cittadini”.

Francesca Capelli è nata a Bologna. È giornalista professionista e dal 1994 lavora (prima a tempo pieno, ora nel tempo libero) per varie testate nazionali. Ed è docente di italiano e lingua straniera con diploma Ditals II (Università di Siena). Dal 2012 vive a Buenos Aires dove ha studiato al master di Comunicazione. È autrice di alcuni libri per ragazzi: “Veruska non vuole fare la modella (San Paolo), L’estate che uno diventa grande (Sinnos), Il grande cane nella città fantasma (Príncipi&Princìpi), Il cacciatore d’aria e Il lettore di pensieri (Raffaello).

Durante la pandemia ha condiviso le battaglie dell’epidemiologa Sara Gandini contro la didattica a distanza; poi, con altri (medici, giuristi, giornalisti eccetera) è entrata a far parte del gruppo Goccia a Goccia (e relativo blog) fondato dalla stessa Gandini. E sul blog della Gandini, proprio qui, sul Fatto, la Capelli ha co-firmato diversi articoli.

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