Non facciamoci false illusioni: se la nuova variante di Sars-CoV-2, la Omicron, sembra più docile non è perché la pandemia si sta indebolendo o spegnendo. “È una coincidenza ed è probabile che la rapida evoluzione antigenica in corso produca nuove varianti che potrebbero fuggire all’immunità ed essere più gravi”, avvertono Pietro V. Markov, Nikolaos I. Stilianakis, due scienziati italiani dell’Ispra, e Aris Katzourakis dell’Università di Oxford, in un recente studio pubblicato sulla rivista Nature.

È innegabile che le infezioni relativamente più lievi causate dalla variante Omicron, unite al fatto che l’immunità della popolazione è ora certamente più alta rispetto al passato, ci hanno indotto a guardare con ottimismo – forse anche troppo – al futuro di questa pandemia. Si è iniziato a parlare di endemia innocua. E anche di immunità diffusa, dovuta principalmente ai vaccini e a pregresse infezioni. Ma la verità è che queste, secondo i tre scienziati, sono idee nate da “teorie errate e premature”.

“L’idea che i virus si evolveranno per essere meno virulenti per risparmiare i loro ospiti è uno dei miti più persistenti sull’evoluzione dei patogeni”, affermano. La realtà, infatti, sarebbe ben diversa. “La virulenza è modellata da complesse interazioni tra fattori sia nell’ospite che nell’agente patogeno”, spiegano gli scienziati. “I virus si evolvono per massimizzare la loro trasmissibilità e talvolta questo può essere correlato a una maggiore virulenza”. In questo caso il virus Sars-CoV-2, oltre a essere più contagioso, potrebbe provocare infezioni più gravi. Insomma, la minore gravità di Omicron non è certo un buon predittore per le varianti future. “La prospettiva di future COV (varianti che destano preoccupazione, ndr) caratterizzate dalla combinazione potenzialmente disastrosa di capacità di reinfettare a causa della fuga immunitaria ed elevata virulenza è purtroppo molto reale”, sottolineano i tre studiosi.

Si potrebbe concludere che la visione di Markov, Stilianakis e Katzourakis sia pessimista. Ma non per questa meno probabile. “I ricercatori – commenta Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata di Roma – sottolineano come l’elevata trasmissibilità, la disponibilità di numerosi serbatoi ospiti animali, il fenomeno dell’immunità in declino e, soprattutto, l’evoluzione antigenica contribuiscono alla continua persistenza di Sars-CoV-2 nell’uomo”. Che poi sembra proprio essere quello che sta succedendo.

Un’altra convinzione comune che i tre scienziati “smontano” si basa sul fatto che la vaccinazione diffusa e l’immunità indotta da infezioni da Sars-CoV-2 siano garanzia in futuro di infezioni lievi. “Questa idea ignora una caratteristica centrale – dicono Markov, Stilianakis e Katzourakis – della biologia di Sars-CoV-2: l’evoluzione antigenica, ovvero una modifica in corso del profilo antigenico virale in risposta alle pressioni immunitarie dell’ospite. Alti tassi di evoluzione antigenica possono provocare fuga immunitaria, cioè una ridotta capacità del sistema immunitario di prevenire la reinfezione e quindi una malattia potenzialmente grave”. A livello di popolazione, secondo gli scienziati, tutto questo può aumentare il carico virale accrescendo i tassi di reinfezione e di malattie gravi.

Seguendo questa prospettiva la “docilità” di Omicron inizia a fare paura. “Omicron – riflettono gli scienziati – ha dimostrato chiaramente che Sars-CoV-2 è capace di una notevole fuga antigenica in un periodo di tempo relativamente breve. La variante presenta almeno 50 mutazioni di amminoacidi rispetto al ceppo ancestrale di Wuhan ed è dal punto di vista antigenico altamente divergente dalle VOC precedenti”. La sua diffusione esplosiva in popolazioni altamente immunizzate ha rivelato che queste mutazioni consentono a Omicron di contagiare anche chi ha le difese. Anche la diversità tra i sotto-lignaggi della famiglia Omicron è molto preoccupante.

Prima di Omicron almeno tre varianti mostravano mutazioni di fuga immunitaria – Beta, Gamma e Delta – e per gli esperti “nulla oggi suggerisce che l’evoluzione antigenica rallenterà in futuro. Al contrario le VOC sono solo la punta dell”iceberg evolutivo’. Centinaia di lignaggi di Sars-CoV-2 divergono continuamente l’uno dall’altro nel tempo e la teoria evolutiva prevede crescenti possibilità di varianti di fuga immunitaria in futuro”.

Novelli però sottolinea un altro aspetto, certamente meno pessimista. “Dal punto di vista evolutivo, ciò che è prezioso per un ‘parassita’ non è uccidere l’ospite; ma piuttosto, avere un ospite che produce la massima quantità di progenie parassitaria”, spiega. “SARS-CoV2 è un esempio perfetto. I contagiati – continua -sono stati almeno mezzo miliardo: la mortalità è stata quindi alta in numeri assoluti, ma almeno il 98% dei contagiati è sopravvissuto e ha contribuito a diffondere il virus. Dall’inizio della pandemia si sono verificate migliaia di mutazioni nel virus, la maggior parte delle quali biologicamente neutre; al momento la variante ‘Omicron’ predominante sembra essere un compromesso tra alta infettività e mortalità relativamente bassa: visto dal punto di vista del virus il compromesso è buono, ma non necessariamente ancora ottimale”.

Tuttavia non è facile prevedere la virulenza di un agente patogeno. “Ci sono molto fattori in gioco – sottolinea Novelli – tra cui anche le caratteristiche genetiche dell’ospite. La variazione genetica nella suscettibilità dell’ospite a SARS-CoV2 è impressionante. Ci sono molti geni coinvolti e altri saranno trovati in futuro”. Il genetista conclude: “È urgente studiare i meccanismi, le circostanze e i fattori che contribuiscono alla generazione di varianti Sars-CoV-2 antigenicamente divergenti negli individui immunodeficienti e nelle specie animali che risiedono vicino all’uomo, che potrebbero essere serbatoi animali SARS-CoV-2. Tale comprensione consentirà una valutazione più affidabile del carico futuro della malattia di coronavirus 2019 (COVID-19) negli esseri umani e di conseguenza preparerà strategie di mitigazione e intervento”.

30science per il Fatto

Lo studio su Nature

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