Mentre quest’ultima ondata di casi Covid-19 sta progressivamente rientrando, i governi del mondo stanno iniziando ad allentare le misure restrittive. Tuttavia, la comunità scientifica non è poi così convinta che sia giusto mollare la presa. Per molti scienziati, infatti, potrebbe essere prematuro passare al piano “convivere con la malattia”. In Italia così come in altre parti del mondo. “Non sono contrario a un ritorno alla vita normale, ma sono convinti che possiamo farlo solo se mettiamo in sicurezza tutto il mondo”, dice il farmacologo Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. “E per riuscirci dobbiamo vaccinare tutti e farlo attraverso un coordinamento mondiale”, aggiunge. Il rischio di nuove varianti c’è ed è difficile ignorarlo. “Bisogna ricordare che i virus non hanno orecchie, né leggono comunicati stampa sul fatto che ‘il Covid è finito e il virus è sparito’”, sottolinea ironicamente Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata di Roma. “Dobbiamo utilizzare la scienza che si basa sempre sui dati. Per ritornare alla normalità – continua – dobbiamo immunizzare, monitorare con sorveglianza genomica (sequenziamento esteso), e fare ricerca ad ampio raggio. Oroscopi, o meglio ‘genoscopi’, e negazionismo non sono strategie valide”.

Tuttavia, i dubbi degli scienziati non frenano la voglia di normalità di molti paesi in tutto il mondo. Stati Uniti, Canada ed Europa, infatti, si stanno muovendo rapidamente per revocare le regole stringenti. Svezia, Danimarca e Norvegia hanno già abolito quasi tutte le restrizioni relative a Covid-19. Dal 24 febbraio ha fatto la stessa cosa anche il Regno Unito.

Negli Stati Uniti, nonostante il numero costantemente elevato di decessi e ricoveri correlati alla pandemia, dieci governatori hanno annunciato l’immediata o l’imminente fine all’obbligo delle mascherine al chiuso. Il piano è quello di trattare il virus Sars-CoV-2 come se fosse endemico, una presenza stabile e duratura come lo è con altri patogeni umani, come il virus del raffreddore e dell’influenza. Ma questo approccio turba non poco gli scienziati, secondo i quali si rischia di perdere nuovamente il controllo di questa pandemia e ci lascerebbe impreparati a qualsiasi nuova variante che verrà.

Kristian Andersen, un ricercatore esperto di malattie infettive presso Scripps Research, in Danimarca, definisce questo cambio di passo come “illusione endemica”, stando a quanto riportato dalla rivista Science. Andersen è stato particolarmente critico nei confronti delle recenti mosse del suo paese, che a partire da questo mese ha annunciato di non considerare più Covid-19 come una “malattia socialmente critica”, anche se i relativi tassi di mortalità e ospedalizzazione stavano ancora aumentando.

Negli Stati Uniti, i governatori hanno indicato vari parametri per “giustificare” le recenti decisioni di revocare o far scadere l’obbligo delle mascherine al chiuso. Il governatore della California Gavin Newsom, prima di annunciare la fine della fase di emergenza, ha dichiarato di aver notato tassi di ospedalizzazione stabili e una riduzione del 65% dei casi da quando è stato raggiunto il picco di Omicron. Il fatto è che i leader devono affrontare anche pressioni politiche ed economiche, oltre che quelle sanitarie imposte dalla pandemia. Secondo l’epidemiologo Dustin Duncan della Columbia University, le nuove strategie sarebbero guidate in gran parte dall’impazienza e dalla frustrazione dei cittadini riguardo alle restrizioni. Le conseguenze potrebbero essere molto gravi. “Anche le persone che riconoscono l’importanza delle mascherine, del distanziamento sociale, e di tutte quelle cose, potrebbero essere più inclini a correre più rischi”, dice su Science.

“Sento che è presto” per revocare l’obbligo delle mascherine al chiuso nella maggior parte degli stati, afferma l’epidemiologa della Emory University Jodie Guest. “Non possiamo dire di essere a un livello tollerabile per convivere con questo virus”, aggiunge. Il team di Guest ha sviluppato delle linee guida per quando si raggiungerà la vera fase endemica di Covid-19, quella in cui tassi di casi giornalieri saranno inferiori a 30 per 100.000 abitanti, l’occupazione delle terapie intensiva inferiore all’80%, i tassi di vaccinazione ad almeno il 75% e quando ci saranno meno di 100 morti per Covid-19 al giorno a livello nazionale.

Decidere quando porre fine all’obbligo delle mascherine nelle scuole è ancora più difficile, anche se la questione è importante visti i dubbi relativi agli effetti (ancora non dimostrati) sull’apprendimento e sullo sviluppo sociale. “Se chiedi a un gruppo di scienziati, ‘I bambini dovrebbero indossare le mascherine a scuola?’, probabilmente avrai risposte discordanti – osserva Andersen – e non so chi abbia ragione”. Lo scienziato ammette di non avere un’idea chiara delle soglie numeriche che potrebbero far prendere la decisione di revocare l’obbligo delle mascherine nelle scuole. “Sarei riluttante in questo momento”, dice.

Se i governi si orientano troppo presto su una visione endemica del coronavirus, secondo gli scienziati, anche i dati che avremo a disposizione saranno inferiori e meno affidabili. Con l’allentamento delle restrizioni pandemiche in Danimarca, le persone stanno diventando meno motivate a sottoporsi al test. Alcuni governi stanno limitando anche gli sforzi di contact tracing. La Svezia, ad esempio, ha eliminato i test nei centri mobili poiché i casi sono diminuiti dopo il picco di omicron. Il Regno Unito ha anche abolito i test gratuiti per tutti. E ancora: settimane fa la provincia canadese del Saskatchewan è passata dal fornire rapporti giornalieri sui casi Covid-19 a report settimanali. Mentre il mese scorso il Tennessee si è unito a diversi stati che già riportavano il conteggio dei casi settimanalmente. “I casi quotidiani sono importanti”, dice Guest. Man mano che diminuiscono i test i conteggi ufficiali stanno diventano meno significativi.

Anche i ricercatori che non si esprimono per difendere specifiche restrizioni stanno esortando i governi a intensificare la lotta a Covid-19, piuttosto che a ridimensionarla. Quello che chiedono sono approcci più aggressivi per raggiungere i non vaccinati, la distribuzione di test rapidi e una maggiore accessibilità ai trattamenti contro Covid-19. “Francamente, non credo davvero che 2 o 3 settimane in più di obbligo della mascherina faranno molta differenza a lungo termine”, afferma KJ Seung, consulente per le politiche sanitarie presso Partners In Health. “Per me è più allarmante che il nostro sistema sanitario pubblico non sembra avere alcun piano per affrontare la prossima ondata”, aggiunge.

“Non vorrei ritrovarmi in un futuro in cui prendo il Covid due volte l’anno”, dice Pagel. Prevenire quel futuro potrebbe significare azioni che consentono ad esempio di migliorare la qualità dell’aria al chiuso e una forte sorveglianza dei virus che può essere intensificata al primo segno di un’altra ondata. “Perché non dovremmo fare questo sforzo?”, domanda retoricamente Pagel.

La strategia che suggerisce Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali è quella di un cauto ottimismo. “Nel prossimo autunno-inverno – dice – ci potrà essere una nuova circolazione del virus, con un nuovo vigore. È ipotizzabile anche che si formino nuove varianti a causa anche dell’ampia circolazione in aree del mondo dove la campagna vaccinale non ha coperto una quota significativa della popolazione. Possiamo però ritenere che non ci saranno effetti analoghi alle ondate precedenti: la popolazione ha un elevato livello di immunizzazione che impedisce gli effetti più gravi dell’infezione; abbiamo poi strategie farmacologiche che ci permetteranno di intervenire nei casi più rischiosi”.

30science per il Fatto

Articolo Precedente

Un continente perduto tra Asia ed Europa? La comunità scientifica: “Ipotesi traballante”

next
Articolo Successivo

Samantha Cristoforetti non sarà più la comandante della Stazione spaziale internazionale. La comunicazione dell’Esa

next