Le lobby europee dei biocarburanti cavalcano la crisi energetica scatenata dalla guerra in Ucraina, chiedendo più terre per produrre i cosiddetti combustibili verdi a discapito delle foreste e degli affamati del mondo. Chiedono infatti all’Ue e ai governi di aumentare la quota di energie rinnovabili realizzate con materie prime vegetali, importate in larga parte da Paesi terzi e trasformate nelle bioraffinerie europee, come il mais per la benzina verde e l’olio di palma per il biodiesel. Una mossa che, secondo loro, contribuirebbe a ridurre la dipendenza da gas e petrolio, i cui prezzi sono schizzati alle stelle per il taglio dell’export dalla Russia.

L’aumento delle piantagioni per la bioenergia, tuttavia, sottrarrebbe ulteriori appezzamenti alla produzione di cibo. Quanto basterebbe per aggravare il rischio di una crisi alimentare mondiale causata dalla speculazione sulle derrate per l’effetto domino innescato dal blocco dell’export di grano e di olii vegetali da Russia e Ucraina, da cui dipende soprattutto l’Africa. A denunciare l’immoralità di queste pressioni è un rapporto pubblicato oggi da una cordata di Ong europee, guidata da Transport & Environment. La coalizione di ecologisti, che comprende anche Legambiente, esige esattamente l’opposto di quanto voluto dalle lobby: ossia la sospensione immediata dell’uso di carburanti vegetali in Europa per frenare la contrazione delle colture alimentari, divenute negli ultimi anni sempre più costose per i Paesi poveri.

Secondo lo studio, l’Europa (Ue + Regno Unito) trasforma ogni giorno 10mila tonnellate di grano (l’equivalente di 15 milioni di pagnotte) in etanolo da bruciare nelle automobili. Se si eliminasse il grano dai biocarburanti europei si riuscirebbe a compensare il 15-20% del crollo delle forniture di grano ucraino al mercato globale. D’altro canto, anche se l’Ue dovesse raddoppiare la superficie dedicata ai biocarburanti (equivalente ad almeno il 10% dei suoi terreni agricoli), potrebbe sostituire solo il 7% delle sue importazioni di petrolio dalla Russia. Per sostituirle completamente con biocarburanti prodotti sul suolo europeo, ci vorrebbero almeno due terzi di tutti i terreni agricoli del Vecchio Continente. “Garantire forniture stabili di energia alle persone e all’economia non può andare a scapito della sicurezza alimentare, portando l’inflazione dei prezzi alimentari verso una spirale fuori controllo”, si legge nel documento degli ambientalisti. “Ogni anno bruciamo milioni di tonnellate di grano e altri cereali vitali per alimentare le nostre auto.”, dichiara Carlo Tritto, responsabile di T&E Italia, “l’impiego di colture per la produzione di biocarburanti, in competizione con gli usi alimentari, sta contribuendo all’inflazione dei prezzi, chi paga le conseguenze di queste scelte sono i cittadini europei e del mondo che devono affrontare spese maggiori per beni di prima necessità”.

Come evidenziato da una recente analisi di Coldiretti, anche in Italia i prezzi dell’olio di girasole, della pasta e della farina sono impennati, rispettivamente del +19%, +12% e +9% per via della chiusura dei granai d’Europa, Ucraina e Russia. Queste insieme forniscono circa un quarto del grano e dell’orzo commerciati a livello planetario, il 15% del mais e oltre il 60% dell’olio di girasole. Nonostante l’inflazione sui generi alimentari, ePure ed European Biodiesel Board, le associazioni europee che raggruppano rispettivamente i produttori di etanolo per la benzina verde e di biodiesel, conducono una pressante campagna a favore del loro settore. Ad esse si affiancano anche le euro-rappresentanze del comparto agricolo Copa e Cogeca che contano tra i loro membri anche i proprietari di colture (colza, orzo, grano) destinate alla produzione di biomassa che rappresenta quasi il 60% delle energie rinnovabili nell’Ue. Tutte e quattro le organizzazioni criticano la Commissione europea per non aver incluso gli agrocombustibili nel suo piano RePowerEU, varato la settimana scorsa per accelerare la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico e lo sganciamento dagli idrocarburi russi. In un recente editoriale, pubblicato a pagamento su Euractiv, testata influente nei palazzi dell’eurocrazia, ePure e European Biodiesel Board, dichiarano che “la proposta RePowerEU verte principalmente sulla produzione di gas ed elettricità, ma non va trascurata la necessità di sostituire i combustibili fossili liquidi,”, sottolineando che “i biocarburanti hanno un prezioso ruolo strategico da svolgere in questo sforzo” e che “limitare il contributo di tali biocarburanti agli obiettivi climatici non fa che aprire la porta a una dipendenza ancora maggiore dai combustibili fossili”.

È qui il punto di svolta. Finora la normativa Ue ha favorito l’impiego dei biocarburanti (che rappresentano oltre il 90% delle energie rinnovabili nei trasporti) per ridurre le proprie emissioni di CO2. Negli ultimi anni ha fatto un parziale dietrofront poiché analisi scientifiche hanno dimostrato che le emissioni rilasciate dal deforestamento provocato dalle colture energetiche è (particolarmente per olio di palma e soia che distruggono le foreste nel Sud-Est asiatico e in Sud-America) addirittura superiore a quelle imputabili alla combustione del petrolio. Ora l’industria pretende che i biocarburanti siano utilizzati come meri sostituti delle energie fossili, indipendentemente dal fatto che permettano di de-carbonizzare il traffico stradale.

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