Periodo incredibilmente fertile per il rap che cerca di svincolarsi dalla trappola dei testi della trap, o, peggio, dell’attitudine della “drill”. A fine 2021, dopo la riconferma ennesima dello spessore di Marracash con l’album Noi, Loro, gli altri, prosieguo di Persona, Gué è arrivato con Guesus, portando rime fresche perfettamente nel suo stile: tamarre con ammiccamenti agli eccessi ma, paradossalmente, questa volta, senza eccesso. Gué, con sonorità che mischiano poche sperimentazioni in modo articolato con stili senza tempo, porta sul mercato probabilmente uno dei suoi migliori progetti: alcuni beat potrebbero richiamare gli anni 90, altri sembrano appena usciti da qualunque disco degli ultimi mesi. La differenza la fanno sempre le rime e l’attitudine, e lui, piaccia o no, ce l’ha!

Sembra facile differenziarsi e spiccare in un mare di nulla, ma all’ascoltatore più interessato non sfuggono prodotti come quelli firmati da Claver Gold, Davide Shorty e Murubutu, artisti e prodotti musicali che fanno la differenza per musica, ricerca e concettualità. Non sfugge nemmeno il terzo capitolo dei Poeti Maledetti guidati da DJ Fastcut o le attività culturali, sociali e musicali di Kento. Nel 2021, pochi live ma molto da ascoltare, molti hanno giubilato anche per il ritorno di Caparezza con il magistrale Exuvia, colmo di spessore, che ha aggiunto uno strato di letteratura che rende grazia alla capacità di risvegliare le coscienze più curiose.

Ci attende, dunque, un’estate piena di concerti grazie alle riaperture. Un 2022 che sembra poter esplodere di rinascita, ma non tutto brilla. Il mercato è saturo di quel nulla che dilaga tra i fruitori dei portali di streaming dove non vincono i filtri (e per certi versi è un enorme bene). Di contro allora osserviamo tutto il resto che lascia sperare… La credibilità della carriera e delle penne di Capa, Marra e Guè e svariati pochi altri eletti illuminati riapre la strada a sostanze che sembravano ormai essersi perse ma che, grazie ad alcuni caratteri, mantiene contatto anche con le espressioni più street e fashion. A conferma di questa resurrezione di un rap che ha da raccontare storie e realtà che vanno oltre gli stilemi capitalistici della rivalsa da quartiere difficile, delle promesse alle mamme e banger omofobi, gratuitamente volgari e fini all’omologazione del peggiore mercato.

Il 2022 ci regala il nuovo album di Fabri Fibra, Caos – un lavoro che arriva a distanza di cinque anni dall’ultimo – dove ritroviamo gli stessi Marra e Guè, con un fortissimo Salmo (che ricorda il miglior Salmo di Playlist o anche Hellvisback) e altri ospiti graditi tra cui, su tutti, Neffa, ma anche Di Martino e Colapesce, Ketama 126 in veste di produttore di una traccia, Madame e altri.

L’hip hop vuole continuare a evolversi e rinasce dalle sue ceneri, sempre. Ho la sensazione che il 2022 ci riserverà molte altre sorprese piacevoli per contenuti e stimoli, scrollandosi di dosso le faide da ragazzini immersi nei modelli più infami, come quelli mostrati dall’immaginario della sottoforma “drill”, declinata all’italiana e farcita di emuli di Tony Sosa e mafia senza dignità, tra hype e mancanza di sostanza, personaggini che esplodono sociologicamente sui social e spariscono dopo poche fiammate. Il problema è che tutto è alimentato da manager senza identità che perseguono esclusivamente l’arricchimento monetario senza spessore, senza ricerca culturale, senza percorso – o meglio – senza strutturazione, senza coltivazione artistica. Senza il perseguimento di un arricchimento culturale, quantomeno parallelo.

Nella maggior parte dei casi sui palchi senti certi pseudo-artisti latrare con auto-tune sopra le tracce già registrate, li senti fare le doppie alla loro stessa voce sul pezzo che manda il DJ. E tutto questo non per fare ridere, ma fanno ridere… amaramente. Pubblici e platee spesso in delirio per il niente che viene offerto loro. Tutto questo è di uno squallore che non poteva essere immaginabile ed è ancor più dannoso perché questi diventano modelli per nuove generazioni di ragazzi che si ispireranno esattamente a questo livello infimo.

La colpa non è di chi ce la fa, la colpa non è dei ragazzi che sputano rime copiando qualunque idiota di turno. Le responsabilità sono da dividere, i manager che se ne fregano sono i primi che non hanno alcun interesse (e spesso nemmeno la cultura per sapere scegliere come e cosa comunicare). Se nessuno li indirizza, nessuno dialoga, nessuno li corregge o semplicemente gli pone delle alternative di qualità, se nessuno gli dà degli schiaffati correttivi, allora penseranno che, siccome funziona, va bene. E così tutto va bene, senza ricerca per il sound, senza ricerca metrica (moltissimi vanno anche fuori tempo): allora siamo arresi al, “va be’, così vale tutto!”. Alcuni fanno la differenza: sono però troppo pochi quelli che non vengono sfruttati ma coltivati e cresciuti con coerenza. E se il problema è in chi gli sta attorno, oltre che nei “wanna be artisti” in sé, dobbiamo guardare al passato per riprendere il filo.

L’hip hop nasceva dalla ricerca dell’originalità, dalla ricerca di una propria identità, da un canto di sofferenza e rivalsa che non fosse esclusivamente votata al capitalismo. Certo, sin dai tempi delle origini si ostentavano le nuove maglie, le nuove scarpe, le collane e le etichette e gli adesivi sui cappellini (così da far vedere che fossero nuovi – appena comprati – o rubati)… ma la scala valoriale di riferimento verteva in direzioni di conquista e costruzione di personalità e comunità, dove l’individualismo e l’ego lasciavano posto a un dialogo artistico costruttivo che allontanava dalle pistole delle gang, nonostante alcune faide poi risolte anche grazie al rap che dava voce, alimentava e attirava l’attenzione di chi poteva intervenire. Sicuramente alcune dinamiche non sono andate per il verso giusto (vedi 2Pac e Biggie), ma la macro visione ci insegna che chi se ne accorge deve intervenire per cambiare ancora una volta i paradigmi.

Lo storytelling di Fibra in Caos lascia la speranza che tutto questo possa ritornare.

Articolo Precedente

FQ New Generation, la nostra rubrica sulla nuova musica da tenere d’occhio: Evandro, Paulo e Flaza

next
Articolo Successivo

Silvia Colasanti, star italiana della musica contemporanea: “Come compongo? Modifico sempre in corso d’opera. Come nella vita, no?”

next