Il 7 agosto 2018 Lavinia stava gattonando incustodita nel parcheggio dell’asilo nido – centro estivo che frequentava a Velletri, in provincia di Roma, quando venne investita da una macchina guidata dalla mamma di un’altra bambina ospite della struttura. Da allora il suo tempo è sospeso in una dimensione di stato vegetativo, accudita e coccolata dai genitori, costretti a medicalizzare la vita della piccola e tramutarne la stanza dei giochi in un luogo nel quale sofisticati e preziosi macchinari sono ormai abituali compagni della giornata. La maestra è oggi accusata di abbandono di minore, un reato che prevede un elemento di volontarietà e una pena fino a 6 anni di carcere. L’investitrice deve invece rispondere di lesioni colpose gravissime. La maestra continua a insegnare. “Nessun contatto coi genitori e nessuna richiesta di scuse o pentimento dal 2018”, mi racconta Massimo Montebove, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente.

Perché questo post, in sé modesta cronaca indegna rispetto al colossale volume d’amore che i due genitori hanno saputo strappare alla notte? È presto detto: il 14 marzo è iniziato il processo al tribunale di Velletri, ben dopo 4 anni dal fatto, il che avvicina pericolosamente i termini della prescrizione, eventualità contro la quale la famiglia Montebove combatte tenacemente, un incubo che Massimo e la moglie Lara Liotta stanno cercando di ricacciare nei meandri più reconditi dell’impensabile, spendendosi senza sosta e senza risparmio in una campagna di sensibilizzazione alla quale ho volutamente e con immenso piacere aderito.

Noi non sappiamo se Lavinia avverta tutto l’amore che deriva dalla massiccia mobilitazione che Massimo e Lara sono riusciti a sollevare. Non lo sappiamo, perché da quel giorno Lavinia vive della forza e del pensiero di tutti coloro che stanno lottando per impedire che l’onta della prescrizione cali su questa vicenda. Quel giorno nel quale l’eliambulanza con Lavinia a bordo era appena atterrata a Roma a piazza San Pietro e il primario della rianimazione del Bambino Gesù disse a Lara: ‘Signora dia un bacetto alla piccola e andiamo in Tac’, non può essere la fine della storia. Umanamente non può.

Rifletto con voi e mi chiedo: a cosa serve la legge? La legge regola il legame sociale, prende atto ex post di comportamenti lesivi della persona e del patrimonio e li sanziona. Ma la legge ha altresì la funzione di limitare e disinnescare le pulsioni aggressive che albergano nell’uomo, delegando allo Stato quella funzione di garante capace di definire in modo terzo e imparziale chi, in una determinata circostanza, è vittima di reato e chi, invece, autore della colpa. Una funzione preziosa e antica, quella della garanzia del terzo, risalente sino alle fonti del diritto romano con la legis actio che era una solenne affermazione del proprio diritto, compiuta di regola davanti al magistrato (in iure) che aveva lo scopo di fissare, con certezza e precisione, i termini della controversia, ed esigeva, di conseguenza, la necessaria presenza di entrambe le parti. Ma la legge, si sa, è fallace. Scritta ed emanata da uomini, patisce gli intoppi dell’animo e, a volte, la mancata imparzialità di chi tiene il codice sottobraccio.

Tuttavia la prescrizione rappresenta ciò che di più maligno e letale possa accadere in episodi gravi come questo. La prescrizione è quell’odioso momento nel quale lo Stato che tutti noi serviamo si volta altrove, distratto, abdicando di fatto ad una delle sue funzione peculiari: quella di essere un calmieratore sociale che tracci quello spartiacque che divide nettamente la vittima dal colpevole. Lo Stato che prescrive e non mette a processo un episodio così grave si dimentica di essere fondato sul diritto e scaraventa i genitori di Lavinia in una condizione di impotente disperazione, di rabbia e frustrazione.

Ho potuto constatare nella mia pratica clinica gli effetti nefasti di tale distrazione sulle menti di vittime di reati gravi, quali ad esempio le donne oggetto di violenza. Tante volte, troppe, alla denuncia della donna, spesso ripetuta, segue un lungo periodo nel corso del quale la netta distinzione tra carnefice e donna offesa sfuma, si attenua, si perde nel dire comune e nella banalità del pensiero stereotipato che si nutre di assunti quali ‘se ancora non è dentro si vede che in fondo lei se l’è andata a cercare’. Ecco, con la piccola Lavinia questo non deve accadere. La zona d’ombra nella quale l’impunità soppianta la legge, la dimenticanza si fa beffe del diritto, non può e non deve diventare il domani della famiglia Montebove.

La prescrizione è l’anticamera della perdita di fiducia nello Stato, nelle istituzioni. Quello Stato che Massimo serve indossando una divisa. “Sono un poliziotto – e nella mission del mio lavoro c’è la sicurezza delle persone. Il mio cruccio più grande è e sarà sempre quello di non aver garantito la sicurezza di mia figlia, di non aver capito, se non troppo tardi, che quella maestra, secondo le accuse, con le sue condotte ha messo in pericolo i miei figli e non solo loro”.

Non possiamo lasciare soli questi genitori, preda dei sensi di colpa, arrovellati nel dubbio di non esser stati all’altezza. Voi, cari amici, avete fatto ciò che tutti noi, me compreso, fanno quotidianamente: avete affidato vostra figlia nelle mani di chi ha il dovere di accudirla. La prima udienza del 14 marzo ha segnato un punto a favore di Lavinia perché il giudice ha calendarizzato a breve le prossime due udienze. La prescrizione potrebbe comunque arrivare in secondo grado. E’ una corsa contro il tempo, quel tempo che per la piccola Lavinia, come mi confida il padre, “si è fermato per sempre, sospeso misteriosamente tra la vita e la morte nel suo stato vegetativo di minima coscienza”.

Dunque, chi può faccia girare questo appello. Leggete, condividete, andate sul gruppo Facebook dedicato a Lavinia e fate casino!

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