Ora che la situazione dell’Ucraina è al centro dell’attenzione mondiale, ho riletto il libro Veniva da Mariupol, che avevo comprato curiosando fra le bancarelle della Fiera del Libro del 2020. L’autrice – Natasha Wotin – è nata in Baviera nel 1945 da genitori ucraini deportati come forza lavoro durante la seconda guerra mondiale, e ha dei nonni italiani. Ha scritto questo libro sulla base del materiale documentario dei familiari e ha conseguito un grande successo a livello mondiale (fra l’altro, premio della Fiera di Lipsia nel 2017). La madre dell’autrice, dopo la deportazione in Germania, era morta suicida.

Quel che più colpisce, in Veniva da Mariupol, è il tragico destino di un paese come l’Ucraina, schiacciato fra la Russia e la Germania. Soprattutto negli anni della guerra. Provo a selezionare alcune notizie.

1) Mariupol, fino alla guerra, è una città multiculturale: ucraini, russi, greci, italiani, francesi, tedeschi, turchi e polacchi, fra cui molti ebrei. Dalla collina su cui sorge si vede il Mar d’Azov, famoso per la sua pescosità.

2) La guerra civile seguita alla rivoluzione sovietica distrugge completamente Mariupol: nel 1922 non c’è più una fabbrica in attività, nei negozi regna un vuoto spettrale e addirittura vengono segnalati numerosi episodi di cannibalismo.

3) L’8 ottobre 1941 Mariupol viene occupata dalle truppe naziste nel quadro della “operazione Barbarossa”, voluta da Hitler per decimare gli slavi e creare spazio per la superiore razza ariana. A Mariupol, al momento dell’occupazione, vivono 240 mila persone. Due anni dopo, ne rimarranno soltanto 85 mila.

4) Quando gli sviluppi della guerra impongono a Hitler di importare schiavi da tutto il mondo, l’Ucraina è il terreno di caccia preferito per reclutare con la forza i cosiddetti ”Ostarbeiter”, anche perché nella follia nazista gli ucraini sono considerati il peggiore dei popoli slavi: nella “gerarchia delle razze” sotto di loro si trovano solo i sinti, i rom e gli ebrei. Quotidianamente, ne giungono in Germania fino a diecimila. All’inizio, l’età minima degli schiavi è dodici anni, ma presto viene abbassata a dieci. Durante l’occupazione, fra il 1941 e il 1943, oltre 60 mila cittadini di Mariupol vengono deportati in Germania come schiavi. Molti di loro muoiono in condizioni di asservimento. Dopo la sconfitta della Germania, le condanne di questi “cacciatori di schiavi” sono rare e lievi: uno dei più importanti, Friedrich Flick, è condannato a sette anni di prigione, ma ne sconta solo tre e dopo diventa uno degli uomini più ricchi della Repubblica Federale.

5) Gli anni del “grande terrore”, che segnano l’apice delle “purghe staliniane”, vedono la soppressione di un numero di persone che per gli storici va dai tre ai 20 milioni. E Mariupol – come tutta l’Ucraina – ne è dolorosamente colpita.

6) Nel 1932 inizia una carestia di proporzioni bibliche, in un paese che era considerato il granaio d’Europa: è il risultato del fallimentare esperimento di collettivizzazione di Stalin, che passerà alla storia – scrive la Wodin – come il genocidio del popolo ucraino.

7) Nessuno sa quanti furono i morti nella costruzione del canale Mar Bianco-Mar Baltico: le stime variano da 50 mila a 250 mila. Molti morirono durante il lavoro, sprofondando nel fango e nella melma, dove giacciono insepolti ancora oggi.

La nozione principale che il libro riesce a trasmettere ai lettori è che nella storia del Novecento alcune nazioni, come l’Ucraina, hanno sofferto più delle altre la tenaglia fra i due paesi confinanti, la Russia e la Germania, reduci da sanguinose rivoluzioni e dominate dalle spietate dittature staliniana e nazista. Forse anche per questo è così forte, in questo periodo, l’attenzione per il destino di questo sfortunato paese.

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