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Il paesaggio è vivo: può e deve cambiare. Basta con i sacerdoti della tradizione!

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In tema di tutela del paesaggio, la nozione accolta dalla Convenzione europea del paesaggio introduce un concetto certamente ampio di “paesaggio”, non più riconducibile al solo ambiente naturale statico, ma concepibile quale frutto dell’interazione tra uomo e ambiente, valorizzando anche gli aspetti identitari e culturali, di modo che è pertanto la sintesi dell’azione di fattori naturali, umani e delle loro interrelazioni a contribuire a delineare la nozione, complessa e plurivoca, di “paesaggio”.

Sono parole del Consiglio di Stato, scritte in una sentenza di poco più di un mese fa.

Significano una cosa semplicissima: il paesaggio è un concetto dinamico, frutto dell’interazione virtuosa tra uomo e ambiente naturale.

In quanto tale, il paesaggio può e deve cambiare nel tempo, in modo razionale e controllato. Perché “le evoluzioni delle tecniche di produzione agricola, forestale, industriale e pianificazione mineraria e delle prassi in materia di pianificazione territoriale, urbanistica, trasporti, reti, turismo e svaghi e, più generalmente, i cambiamenti economici mondiali continuano, in molti casi, ad accelerare le trasformazioni dei paesaggi”: non lo si afferma nello statuto di un’associazione di palazzinari, ma nella su citata Convenzione europea del paesaggio, quella cui si riferiva il Consiglio di Stato.

Quindi, è arrivato il momento di passare da un’ottica di mera e fondamentalistica “tutela” a quella di “salvaguardia, gestione e pianificazione”, approccio integrato che, tra le sue tante implicazioni positive, ha quella di poter “contribuire alla creazione di posti di lavoro”, per mutuare sempre le parole della Convenzione.

Perché la “tutela” è ancorata, per definizione, ai canoni dell’estetica e della tradizione: tanto immutabili – e tecnicamente reazionari – nell’interpretazione che ne viene data dagli enti preposti alla tutela stessa, quanto soggettivi e transeunti nella loro essenza.

L’approccio integrato di salvaguardia, gestione e pianificazione, invece, tiene conto di elementi come il progresso, l’evoluzione, la stessa storia umana; e inserisce il paesaggio in questo contesto di realtà, sottraendolo all’esclusiva – il che vuol dire spesso alla discrezionalità assoluta e apodittica – della casta dei cultori professionali del bello senza tempo, dei sacerdoti della tradizione paesaggistica.

Una storia umana che oggi ci parla di necessità vitale, quindi assolutamente prioritaria, di energie rinnovabili per la sostenibilità, per il contrasto alla crisi climatica. Per la sovranità energetica. Necessità di cui tutti, ma proprio tutti, coloro che vivono in questo tempo e in questo spazio devono tenere conto; qualunque sia il loro ruolo e le loro prerogative.

Necessità che dovrebbero inchiodare chiunque, per quanto di propria competenza, alle rispettive responsabilità, per parole, opere e omissioni.

Un paesaggio, in conclusione, come entità dinamica, soggetta a trasformazione; in una parola, viva. Non un paesaggio – fossile: intangibile e immodificabile nel tempo. Di fossili, questa società, questo Paese, questo pianeta proprio non hanno più bisogno.

Questo dovrebbe essere il modo più serio, nell’anno di grazia 2022, di celebrare la giornata nazionale del paesaggio.

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