Lo Stato paga 2,39 euro al giorno per i pasti dei detenuti e 7,50 euro per quelli di uno scimpanzé del giardino zoologico. Una situazione che non riguarda solo la Capitale ma tutto il Lazio, e anche Abruzzo e Molise, territori che appartengono allo stesso Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap). A fare il confronto tra il peso sulle casse pubbliche tra i pasti di un uomo e quelli di uno scimpanzé è stata la Garante dei detenuti di Roma, Gabriella Stramaccioni, che ha presentato denuncia alla Corte dei conti per chiedere una verifica sul sistema delle gare d’appalto legate al servizio di vitto nelle carceri. La legge, infatti, stabilisce che il servizio mensa negli istituti penitenziari vada messo a gara. Le ultime tabelle del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, hanno fissato come base di appalto un costo di 5,70 euro al giorno per la fornitura di colazione, pranzo e cena. Nel Lazio l’impresa vincitrice, due anni fa, si è aggiudicata il servizio con un ribasso del 58%, quindi a oggi offre tre pasti al giorno al costo di 2,39 euro a detenuto. Salvo poi vendere a prezzi fuori mercato prodotti alimentari negli istituti ai detenuti che ne fanno richiesta, il cosiddetto sopravvitto: già, perché gli spacci interni alle carceri, da oltre novant’anni, nel Lazio come in Abruzzo e in Molise sono gestiti dalle stesse ditte che forniscono il vitto. Che quindi non hanno alcun interesse a erogare un servizio decente.

Più scarsa è la quantità e la qualità dei pasti standard, infatti, tanto più sono d’oro gli affari che le imprese fanno con il sopravvitto, che solo nel carcere di Rebibbia a Roma frutta ben dieci milioni di euro l’anno. “Con 2,39 euro al giorno per sfamare un detenuto sui settanta chili non si può dare altro che brodaglie e robaccia, se per uno scimpanzè dello stesso peso ci vogliono 7,5 euro”, racconta Stramaccioni. “I detenuti lamentano in continuazione la scarsa qualità e la carenza del cibo. Motivo per cui poi si rivolgono alla ditta, che è sempre la stessa, per avere merce a pagamento negli spacci”, aggiunge. E i prodotti vengono venduti a caro prezzo. “La carne va a 21 euro al chilo ma si tratta di rimasugli, salsicce piene di grasso e imbottite di coloranti viola. Una manciata di pomodorini può costare anche 4,5 euro. I detenuti che si mettono di traverso o protestano vengono trasferiti”, racconta la Garante.

Con una delibera del settembre del 2021 anche la Corte dei conti – a seguito della denuncia presentata da Stramaccioni – ha preso atto della situazione e sottolineato che “l’istruttoria ha portato all’emersione di profili di illegittimità a monte” delle procedure di gara, ricordando che “già in altra occasione, questa Corte ha rilevato aspetti di criticità negli accordi quadro per tali forniture”. I giudici contabili quindi hanno invitato il Provveditorato “a valutare, nella prospettiva della predisposizione dei futuri bandi, l’opzione di diversificare le procedure tra i due servizi oggetto dell’attuale accordo”: in breve a distinguere l’affidatario del servizio mensa da quello che gestisce lo spaccio alimentare interno all’istituto. Da allora la gara è stata rifatta e gli esiti sono attesi a giorni. Intanto il servizio è andato in proroga e nel frattempo i costi la collettività li ha sostenuti due volte: da un lato ci sono le casse pubbliche che erogano poco più di 70 euro mensili per i pasti di ciascun recluso, dall’altro lato gli stessi detenuti che onorano il prezzo della permanenza in carcere. “In pratica i detenuti si pagano da soli il vitto”, spiega Stramaccioni. Per stare in carcere ciascun detenuto nel Lazio sostiene un costo di 120 euro al mese. Se hanno una busta paga, perchè sono inseriti in un programma di lavoro in carcere, la somma viene trattenuta; in alternativa quando escono dall’istituto penitenziario si portano dietro un debito di giustizia da onorare”.

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