“L’esercito russo si è impantanato. Da due settimane dormono al freddo sui mezzi e mangiano razioni secche e scadute. Quanto possono tirare avanti? Sono ragazzini delle lontane repubbliche. Poco pagati e senza motivazione rispetto a noi che difendiamo casa nostra. Io so sparare. Vado a caccia nei Carpazi. Se fossi in Ucraina non ci penserei due volte a far fuori un po’ di russi. Credo che nel giro di un paio di settimane la loro sconfitta sarà evidente”. Non si perde d’animo Ivan, 54 anni, falegname sul lago Maggiore. Il padre costruiva le grandi stufe di pietra della tradizione slava che fanno anche da forno e da letto. Ivan è in Italia dal 2001 ma ha continuato a lavorare e ad avere rapporti con l’Ucraina dove ha costruito baite e chiese. Originario di Černovcy, vicino al confine rumeno, ha uno zio emigrato a Novosibirsk, Siberia: “E’ tornato qualche volta, ma da quando c’è la guerra è vittima della propaganda di Putin”. Si altera quando ricorda come l’Ucraina sia stata abbandonata da tutti e fregata dalla Russia sul Memorandum di Budapest, l’accordo del 1994 che garantiva sicurezza e integrità territoriale in cambio della dismissione dell’enorme arsenale atomico ereditato dall’Urss (1900 testate nucleari).

Gli ucraini in Italia sono circa 236mila (dati del gennaio 2021). Tre su quattro sono donne e si fanno carico dell’assistenza agli anziani (“Puliamo il culo ai vostri vecchi”, dice qualcuna brutalmente) o sono comunque impiegate in lavori domestici. Zinaida Maluš si considera molto fortunata. Viene anche lei da Černovcy e ha trovato subito lavoro come domestica nella famiglia di un avvocato di Varese. Si è risposata con un italiano. I fratelli, Leonid e Anatolij, vivono a Černovcy, hanno tre figli ciascuno, e fanno i camionisti. Leonid l’ha svegliata nel cuore della notte per dirle dell’invasione: “Zina è iniziata la guerra”. Anatolij è rimasto bloccato in Russia, nella fabbrica dove stava scaricando, con altri camionisti di vari paesi. Moldavi, turchi… I russi gli danno da mangiare. E’ molto preoccupata per il padre: “Ho detto a mia cognata: vieni in Italia con i bambini e porta anche lui. Ma papà le ha detto: io ho già il posto al cimitero. La situazione dove sono loro per ora è tranquilla. Abbiamo l’orto, le galline, la mucca, il cibo non manca”.

Anastasija Fedorova, 26 anni, vive a Jerago, non lontano da Varese, e ha sposato uno dei figli di Zinaida. Lavora in un bar e come estetista. Mentre lavora ogni due per tre scoppia a piangere e i colleghi la consolano. E’ di Berdjansk, vicino a Mariupol, sul mar d’Azov, città conquistata dai russi. Russa è anche la mamma, nata a Čita in Siberia. I due popoli slavi hanno molti legami e intrecci familiari. Per questo, come dice Zinaida, un’aggressione così brutale era inconcepibile. Ora la mamma di Anastasija è nascosta sotto terra insieme al marito, italiano, in campagna: “Lui mangia un sacco di pasta nel rifugio. Si è trasferito a Berdjansk con la mamma alla fine del 2014, il primo anno di guerra. E’ pensionato. L’ultima volta che li ho sentiti la mamma mi ha detto: vi voglio bene. Sono scoppiata a piangere. E’ una persona molto forte e sentirla dire certe cose, vederla spaventata… Le comunicazioni per il momento continuano. Ma l’elettricità c’è solo per alcune ore al giorno. Si ricaricano tutti i telefonini e poi quando va via la luce se ne accende uno a turno”.

Anche Irina Irina Fatyč è preoccupata per i nonni. E’ ucraina, nata a Vinnica nel 1985, ma cresciuta vicino a Murmansk, in una base militare, sul mare di Barents, estremo Nord, città di rompighiaccio nucleari. Il padre è ingegnere aeronautico. Lavorava con gli aerei da guerra: Mig e Sukhoi. Lassù faceva sempre freddo ed era sempre buio, ma andava un po’ meglio a Voronež, dove si sono trasferiti, a Sud di Mosca. I genitori vivono ancora lì. Lei si è trasferita in Italia per studiare lingue a Milano e non è più tornata. Le estati le trascorreva dai nonni materni a Vinnica ed è molto preoccupata per loro: sono anziani e non sono potuti fuggire. Sente notizie terrificanti come quella dell’impiego di bombe a vuoto: “Putin non ha nessuna scusa per fare quello che sta facendo. Né l’allargamento della Nato né altro. Non puoi uccidere la gente così nel 2022. Anche i miei genitori la pensano allo stesso modo. Ma conoscono persone in Russia che invece lo giustificano e dicono che doveva per forza attaccare prima. Ci sono famiglie in Russia che si sono divise tra chi è contro e chi per la guerra. Ma come si fa a essere per la guerra? Come è possibile passare sopra tutte quelle vite umane?” Ivan è meno spaventato ed è sicuro che gli ucraini ce la faranno e l’effetto domino sarà dirompente: “Putin è finito. Quando cadrà, le repubbliche della Federazione russa andranno per conto loro. Forse anche territori con forte componente ucraina come la regione di Kuban‘ potrebbero diventare autonomi. Comunque sia, con i russi abbiamo chiuso per sempre”.

Halina Daviskiba, di Rovno, nata nel 1966, infermiera, con addestramento di tre anni paramilitare in Cecoslovacchia, a Zvolen, ai tempi dell’Urss. Vive a Voghera (“Perché nessuno ha accettato il mio diploma”), fa le pulizie e ha un figlio di 29 anni: “Anche lui vive in Italia. Lavora per le autostrade. Voleva andare combattere. Non può accettare che qualcuno sia arrivato a casa nostra con un fucile in mano. Ma l’ho convinto a non andare. Senza fare però scenate, piangendo ecc. Non ha addestramento. Me la caverei meglio io di lui. Sapevo sparare bene, anche se non smontare un Kalashinikov”. Halina è in pensiero per la figlia. Ha due bambini, maschio, nove anni, e femmina, quattro anni. La maestra si è offerta di portarli alla frontiera in macchina. Ma la bambina è troppo piccola e attaccata alla madre per separarsene. Non si può però lasciare la nonna sola a Rovno: “Non è anziana, è del ’47, ma ha avuto un ictus e non può muoversi. Va in bagno e cade due volte. Se mi muore per strada?”. Halina vuole andare a Rovno dove la situazione è abbastanza tranquilla ora per far sì che la figlia possa andarsene con i bambini. Deve però sistemare carte perché si è appena licenziata in Italia. “Cosa penso della guerra? Mio nonno non ha combattuto e perso la gamba per questo. Dove? Nella zona di Kaliningrad. Era in prigione come antistalinista e gli hanno dato l’opportunità di combattere. Fucile contro carrarmato. E’ sopravvissuto”.

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