La depressione è una delle principali condizioni legate alla possibilità di sviluppare il morbo di Alzheimer, insieme ad ansia, stress, perdita dell’udito, costipazione, spondiloartrite cervicale, perdita di memoria, affaticamento, disagio e rapide perdite di peso. Questo, in estrema sintesi, è quanto è stato scoperto da uno studio, pubblicato sulla rivista The Lancet Digital Health, condotto dai ricercatori di diversi istituti, tra i quali l’Institut national de recherche en informatique et en automatique (INRIA), l’Università la Sorbona, il Centre national de la recherche scientifique, l’Università di Bordeaux e il Cegedim Health Data.

Nell’ambito del progetto Aramis del Paris Brain Institute, gli scienziati hanno valutato i sintomi precoci associati all’Alzheimer. Gli esperti hanno infatti individuato dieci condizioni che possono verificarsi nei 15 anni precedenti alla comparsa dei sintomi della malattia neurodegenerativa. Il team, guidato da Stanley Durrleman, ha consultato in forma anonima le cartelle cliniche di oltre 80mila pazienti in Francia e Regno Unito. Circa la metà aveva ricevuto una diagnosi di Alzheimer, mentre gli altri erano parte del gruppo di controllo e non avevano mai avuto la malattia.

Il gruppo di ricerca ha elaborato dei modelli matematici e statistici per valutare le possibili associazioni tra l’Alzheimer e 123 diversi fattori di salute. Grazie a questo approccio, gli scienziati hanno identificato le 10 condizioni più comuni che possono manifestarsi nei 15 anni precedenti alla comparsa dei sintomi dell’Alzheimer. Stando a quanto emerge dall’analisi, la depressione costituiva il fattore più frequente, e gli altri erano ansia, esposizione a stress elevato, perdita dell’udito, costipazione, spondiloartrite cervicale, perdita di memoria, affaticamento, disagio, instabilità e improvvise perdite di peso. “Il nostro lavoro – afferma Thomas Nedelec, del progetto Aramis – ci ha permesso di confermare l’esistenza di alcune associazioni precedentemente note e altri fattori che finora non erano stati considerati. Questo approccio, però, evidenzia delle semplici correlazioni statistiche, sarà necessario approfondire le indagini per individuare i meccanismi sottostanti e capire se queste condizioni rappresentano indici di rischio, sintomi o segnali precoci della malattia di Alzheimer”.

Questo lavoro apre diverse prospettive, commentano gli autori, e, sebbene i risultati siano preliminari, permette agli operatori sanitari di avere un quadro più dettagliato del morbo di Alzheimer. “Le sovvenzioni che sono state stanziate per il progetto Aramis – conclude Durrleman – permetteranno di implementare anche i dati della Svezia e dell’Australia. Speriamo di poter estendere la ricerca anche ad altre malattie, come il Parkinson, il morbo di Charcot o la sclerosi multipla. Ci auguriamo di poter identificare le basi comune e le specificità di queste condizioni in modo da sviluppare un piano di prevenzione mirato ed efficace”.

Lo studio su The Lancet

Valentina Di Paola

Articolo Precedente

Covid, il presidente dell’Aifa Palù e l’ipotesi del virus sfuggito da un laboratorio: “C’è sequenza appartenente a un gene umano”

next
Articolo Successivo

Morto l’uomo a cui era stato trapianto un cuore di maiale geneticamente modificato

next