Al ritmo di “whisky&soda e rock’n’roll”, la Serie A vuol fare sempre più l’americana. O forse sarebbe meglio dire il contrario: è l’America che ha voglia di calcio italiano. Così tanta da comprarselo: la cessione dell’Atalanta, passata in settimana nelle mani di un gruppo di investitori capitanati da Stephen Pagliuca, porta a 8 le proprietà nordamericane nel nostro campionato: Milan, Roma, Fiorentina, Bologna, Genoa, Venezia, Spezia, e appunto l’Atalanta. Quasi un partito, che potrebbe essere persino di maggioranza nella nostra Lega Calcio così spaccata. Inutile scandalizzarsi e gridare alla svendita del calcio italico: il tempo dei mecenati, i vari Moratti, Berlusconi, Cragnotti, Cecchi Gori &Co., purtroppo (o si potrebbe dire per fortuna, visti certi epiloghi…) è finito. Non ci sono più i ricchi patron che bruciano miliardi nel pallone, e con la crisi generalizzata dell’economia e del tessuto imprenditoriale italiano ci sono e ci saranno sempre meno anche presidenti che vengono dal territorio, alla Percassi per intenderci. Oggi il calcio è un business possibile solo per colossi esteri o fondi d’investimento, e infatti le proprietà si stanno spostando ovunque più verso quella direzione. In Italia, quasi solo verso gli Stati Uniti (l’unica proprietà straniera non nordamericana resta l’Inter, cinese chissà per quanto tempo ancora).

È un matrimonio quasi perfetto, per quanto d’interesse: loro hanno i soldi, noi abbiamo il pallone, ma non è il caso di andarne troppo fieri. Se gli americani stanno investendo in maniera così massiccia sulla Serie A non è perché sia il campionato più bello del mondo, ma semmai il contrario: il momento migliore per comprare è quando un titolo si è svalutato, ed è quello che sta succedendo al nostro calcio. La Serie A è ai minimi termini, le società sono alla canna del gas e praticamente tutte disposte a vendere (o quantomeno ad ascoltare offerte). Un club italiano oggi costa poco, o comunque molto meno di una squadra inglese (non parliamo nemmeno degli sport americani, Nba o Nfl che viaggiano su altre cifre), mentre in Spagna e Germania le norme rendono più difficili le acquisizioni. I margini di crescita invece sono importanti (impossibile fare peggio di così), i diritti tv rappresentano una fonte di reddito certa, il business degli stadi prima o poi si sbloccherà. Infine, c’è sempre il ritorno reputazionale, le splendide città italiane continuano a esercitare un certo fascino sull’immaginario Usa. Per tutte queste ragioni l’Atalanta si è aggiunta alla folta schiera di proprietà a stelle e strisce, e potrebbe non essere l’ultima.

Ormai le proprietà americane sono quasi quante le italiane. È un fenomeno economico. Ma potrebbe diventare anche un fattore politico. La Lega Calcio negli ultimi anni è sempre stata spaccata a metà: le medio-piccole capeggiate dal guastatore Lotito contro le big vicine all’establishment e alla Figc di Gabriele Gravina. Uno stato di conflitto permanente, che pende una volta da una parte, una volta dall’altra, ma non si risolve mai in nulla di buono. Adesso, forse, sta nascendo un terzo partito: quello degli americani: 8 voti su 20 sono tanti, quasi la maggioranza in una Serie A così divisa. Il problema è che si tratta di proprietà molto eterogenee tra loro, che hanno interessi e comportamenti diversi: a partire dal Milan di Elliott e del presidente Paolo Scaroni, che rappresenterà pure gli americani ma persegue logiche tremendamente italiane. Se vogliono far fruttare il loro investimento, però, gli americani devono capire dove sono finiti, imparare a navigare nelle nostre acque (vedi il Fondo 777 Partners, che rischia di scivolare in Serie B, o il Parma di Krause che ora vede addirittura lo spettro della Serie C). E quindi cominciare a incidere. Il primo banco di prova potrebbe essere ad esempio l’elezione del nuovo presidente della Lega Calcio, con la Serie A divisa fra Carlo Bonomi (sponsorizzato dalle milanesi) e Lorenzo Casini (proposto dalla coppia Lotito-De Laurentiis). Se riusciranno a fare squadra, Commisso, Friedkin &Co. dopo averla comprata potrebbero davvero americanizzare un po’ la Serie A. E per il calcio italiano, impantanato nei suoi vizi tipicamente italiani, potrebbe non essere nemmeno una cattiva notizia.

Twitter: @lVendemiale

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