Le fiamme nel garage, alcuni passeggeri che si trovavano lì durante la navigazione, il porto di partenza e il tratto di mare in cui tutto è iniziato. Ci sono molteplici punti di contatto tra l’incendio che all’alba si è sviluppato a bordo del traghetto Euroferry Olympia della Grimaldi Lines e quello che divampò, nello stesso specchio d’acqua del mar Adriatico dopo la partenza da Igoumenitsa, sul Norman Atlantic della compagnia greca Anek Lines la notte del 28 dicembre 2014, provocando 31 morti. A oltre sette anni di distanza, stando alle informazioni finora confermate dall’armatore italiano dell’Olympia e quanto raccolto attraverso altre fonti, sembra riproporsi uno schema simile, sia per quanto riguarda la dinamica dell’incidente che per alcuni modus operandi a bordo dei traghetti ro-pax, ovvero le navi adibite al trasporto di passeggeri e camion. E che riportano alla luce, se confermate, alcune consuetudini nella navigazione irrisolte nonostante la tragedia del Norman Atlantic, alla deriva nel mare forza 8 con quasi 500 persone a bordo mentre il fuoco divorava la nave, finì su tutte le prime pagine del mondo rappresentando uno dei più gravi disastri navali nella storia moderna della marineria europea.

Il punto d’incendio – Per quanto quasi otto anni dopo il processo sull’incendio a bordo del Norman Atlantic sia ancora in corso e appena in primo grado, con 26 imputati e una parte dei reati già prescritti, la perizia voluta in fase di indagini preliminari dalla giudice Alessandra Piliego ha cristallizzato la causa primaria dell’incendio. Il fuoco si sviluppò all’interno di un garage e l’innesco più plausibile fu identificato nel malfunzionamento di un rimorchio-frigo. Tir che con ogni probabilità non era attaccato alle prese elettriche – erano 43 i camion che necessitavano di energia elettrica e sole 40 le spine disponibili – e quindi alimentava l’impianto attraverso un motore diesel per evitare il deterioramento della merce. Una pratica vietata dal codice di navigazione, ma nota – stando ad alcune mail prodotte dall’accusa – al comandante e all’armatore Carlo Visentini. Seguirono – ad avviso dei periti Salvatore Carannante, Francesco Carpinteri, Bernardino Chiaia, Enzo Dalle Mese e Pasquale Del Sorbo – altri e numerosi errori da parte dell’equipaggio, compresa l’iniziale apertura dell’impianto antincendio nel ponte sbagliato. Al momento, per quanto riguarda l’Olympia, sappiamo che – come confermato da Grimaldi – anche in questo caso l’incendio è divampato in uno dei garage (il numero 3) nei quali erano stati caricati 153 mezzi commerciali tra camion e semirimorchi, nonché una trentina di veicoli al seguito dei passeggeri. Tutta da ricostruire invece la causa dell’incendio e la sua gestione da parte del comandante e dell’equipaggio dell’Olympia, battente bandiera italiana e con Palermo come porto di registro.

Le persone nei garage – Stando alle prime testimonianze, ancora da confermare, come avvenuto sul Norman Atlantic, anche a bordo dell’Olympia c’erano passeggeri in viaggio all’interno dei garage. Anche in questo caso si tratta di una pratica scorretta, vietata dalle norme di sicurezza. “Due camionisti sono intrappolati nel garage”, ha spiegato un ufficiale della Guardia costiera greca a kathimerini.gr. Un testimone ha invece raccontato a protothema.gr che non trova un suo “amico” che gli “aveva detto che avrebbe dormito in macchina”. A Mega un altro passeggero ha espresso preoccupazione per il fatto che potrebbero esserci camionisti che dormono nei loro tir nei garage della nave. I sindacati marittimi greci Pemen, Stefenson e Peemagen ricordano in una nota riportata dal sito greco Efsyn.gr come le compagnie di navigazione e le autorità greche “sanno e hanno riscontrato in incidenti simili che la permanenza di conducenti e copiloti nelle cabine dei camion”, fatto che rappresenta un “grave rischio alla sicurezza di marittimi, passeggeri, navi”. Chiedendo di appurare se tutte le procedure hanno funzionato a dovere e così anche le ispezioni, sottolineano come sulle navi che operano tra porti greci e italiani, “indipendentemente dalla bandiera (greca, italiana, maltese), le composizioni dell’equipaggio non sono determinate in base alle reali esigenze, ma in base alla competitività e redditività degli armatori”. L’Olympia, sottolinea la società armatrice, era stato sottoposta il 16 febbraio a Igoumenitsa a un “visita Port State Control”, in sostanza alle “verifiche da parte delle autorità competenti nell’ambito dei controlli previsti dalla normativa internazionale in materia di sicurezza della navigazione” che avevano dato “esito positivo”.

Il legale: “Se norme violate, il processo sia in Italia” – “Come nel processo sul Norman Atlantic, fondamentale anche in questo caso sarà la competenza dei giudici italiani sulle eventuali violazioni alle normative di sicurezza delle nave Grimaldi e far tesoro dei risultati già ottenuti nei processi Concordia e Norman Atlantic”, afferma a Ilfattoquotidiano.it l’avvocato Massimiliano Gabrielli, legale che ha seguito accanto alle parti civili entrambi i disastri navali insieme ai colleghi Alessandra Guarini e Cesare Bulgheroni. “Nel processo sul Norman Atlantic abbiamo ottenuto un sequestro da oltre un milione di euro a carico dell’armatore e importanti risarcimenti a favore dei passeggeri e familiari delle vittime”, aggiunge spiegando che “quello che si è accertato senza ombra di dubbio nel processo sul disastro del Norman Atlantic è che a bordo dei traghetti tra Italia e Grecia vengono spesso imbarcati tir frigo in numero superiore alla capacità di allaccio dei mezzi alla rete elettrica delle navi”. E così “nella consapevolezza di tutti, armatori e comando di bordo, in violazione delle normative di sicurezza, si viaggia nei garage con i diesel generatori accesi sui mezzi refrigerati – dice ancora Gabrielli – e il rischio di un incendio passa in secondo piano rispetto alla massimizzazione dei profitti”. Ad avviso del legale, per “capire a fondo questo tipo di disastri marittimi vale la regola ‘follow the money’ e non basta parlare di errore umano o semplice incidente”. La giustizia italiana, conclude Gabrielli, “sta iniziando a guardare con sempre più attenzione alle responsabilità dei vertici societari per la violazione delle norma di sicurezza nei grandi trasporti”.

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